sabato 18 ottobre 2008

miti e leggende

leggende di sicilia




Il palazzo della Zisa e la leggenda dei diavoli della Zisa

Il vestibolo
Il vestibolo a ridosso della facciata principale, composto da fornici nella facciata principale e dai due ingressi laterali, costituiva una specie di portico che univa la parte esterna alla parte interna del palazzo; aveva anche la funzione di introdurre nella sala nobile della fontana attraverso un'arcata in cui sull'intradosso della volta vi è un affresco raffigurante personaggi mitologici detti "i diavoli della Zisa", dalla credenza popolare che ritiene impossibile contarne l'esatto numero.

L'Iwan (la sala della fontana)
L'Iwan è l'ambiente di rappresentanza arabo. In questa stanza il re riceveva la gente, si riposava e si divertiva. Nella sala, a forma di croce, vi sono tre profonde nicchie decorate in alto da muqarnas, nella nicchia centrale, sotto stupendi mosaici raffiguranti scene di natura e di caccia, vi è la fontana, che da il nome alla sala, da dove l'acqua scende da una lastra inclinata e scorre per un canaletto che si biforca in due bacini quadrati sul pavimento.
La leggenda dei diavoli della Zisa
Su questo palazzo della Zisa esiste una leggenda popolare generata dalle decorazioni pittoriche che si trovano sulla volta dell'arco d'ingresso alla Sala della Fontana, raffiguranti figure mitologiche (al centro Giove e intorno Nettuno con il suo tridente, Plutone, Giunone, Mercurio, Vulcano, Venere, Marte....) detti dalla credenza popolare diavoli.
La credenza racconta che nel palazzo della Zisa c'è un grandissimo tesoro, in monete d'oro, nascosto e che a custodi vi siano dei diavoli, che impediscono ai Cristiani di venirne in possesso. Questa leggenda dice che: chi va a guardarli il 25 marzo, giorno dell'Annunziata, e li fissa a lungo vede che questi diavoli si muovono la coda, storcono la bocca; e nessuno è capace di contare il loro esatto numero; ciò significa che non si possono contare i denari del tesoro nascosto e non è possibile trovarlo perché guardato dai Diavoli. La leggenda inoltre racconta che il giorno in cui si troverà il sistema per scoprire il tesoro nascosto; allora terminerà la povertà a Palermo. Questa leggenda ha generato un modo di dire popolare: "E chi su, li diavoli di la Zisa?" (E che sono, i diavoli del palazzo della Zisa?), termine adottato a Palermo quando non tornano i conti.Come scrive Giuseppe Pitre () la difficoltà di contare esattamente i diavoli della Zisa è data dal fatto che alcune delle figure sono molto piccole e altre non intere, così c'è chi li conta e chi no.

Il museo
Oggi il palazzo della Zisa è adibito a museo in cui sono esposti alcuni significativi manufatti di matrice artistica islamica provenienti da paesi del bacino del Mediterraneo. Tra questi sono di particolare interesse le eleganti musciarabia (dall'arabo masrabiyya), paraventi lignei a grata (composti da centinaia di rocchetti incastrati fra di loro a formare, come merletti, disegni e motivi ornamentali raffinati e leggeri) e gli utensili di uso comune (candelieri, ciotole, bacini, mortai) realizzati prevalentemente in ottone con decorazioni incise e spesso impreziosite da agemine (fili e lamine sottili) in oro e argento.

Indirizzo: Palermo-Piazza ZisaTel. 091/6520269Visite: Dal lunedì al sabato ore 9.00-13.30 15.00-18.00domenica e festivi ore 9.00-13.00.Ingresso: € 4,00gratuito per i cittadini della Comunità Europea di etàinferiore ai 18 anni e superiore ai 60Divieti: Uso flash




Miti e leggende della Sicilia
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La Sicilia è legata a molteplici miti e leggende che nel corso dei secoli hanno influenzato la cultura e le tradizioni. Molte di esse nascono da racconti orali, favole, false interpretazioni e invenzioni.
Indice[nascondi]
1 Leggende greche
1.1 Aretusa
1.2 Ciane e Anapo
1.3 Aci
1.4 Cariddi
1.5 Il ratto di Proserpina
1.6 Polifemo
1.7 Cocalo
1.8 Etna
2 Leggende
2.1 Castagno dei Cento Cavalli
2.2 Colapesce
2.3 Fata Morgana
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Leggende greche [modifica]

Aretusa [modifica]
Il mito più famoso di Siracusa è quello della ninfa Aretusa. La ninfa al seguito di Artemide, correndo libera tra i boschi del Peloponneso, fu vista dal giovane Alfeo che si innamorò perdutamente di lei. Ma Aretusa non ricambiava il suo sentimento, anzi rifuggiva da lui, finché stanca delle sue insistenze chiese aiuto ad Artemide. La Dea la avvolse in una spessa nube sciogliendo la giovane in una fonte sul lido di Ortigia.
Alfeo allora chiese aiuto agli Dei, che lo trasformarono in un fiume che nascendo dalla Grecia e percorrendo tutto il Mar Ionio si univa all'amata fonte.

Ciane e Anapo [modifica]
Persefone, figlia di Zeus e di Demetra, dea della vegetazione e dell'agricoltura, era intenta a cogliere fiori insieme ad alcune ninfe presso le rive del lago Pergusa (vicino ad Enna). Improvvisamente, dal suo regno sotterraneo sbucò fuori Ade, innamorato della fanciulla, che per non perdere tempo in corteggiamenti e soprattutto per evitare di chiedere la mano di Persefone al fratello Zeus, decise di rapirla.
Fu la ninfa Ciane a reagire al rapimento aggrappandosi al cocchio di Ade nel tentativo disperato di trattenerlo. Il dio incollerito, la percosse col suo scettro trasformandola in una doppia sorgente dalle acque color turchino (cyanos in Greco vuol dire appunto turchino).
Il giovane Anapo, innamorato della ninfa Ciane vistosi liquefare la fidanzata, si fece mutare anch'egli nel fiume che ancor oggi, al termine del suo percorso si unisce nelle acque al Ciane, per versasi nel Porto Grande.

Aci [modifica]
Aci (in greco Ἂχις, -ιδος, in latino Ăcis, -ĭdis) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Fauno e Simetide.
Secondo il mito, era un pastore bellissimo; di lui si innamorò la ninfa Galatea, a sua volta amata da Polifemo. Accecato dalla gelosia, il ciclope schiacciò sotto un masso il pastore. Il suo sangue, confluito dalla roccia, fu trasformato dalla Galatea in un fiume, che fu chiamato proprio Aci. Probabilmente il mito s'ispira al modo in cui il fiumi sgorga dalla sua sorgente.

Cariddi [modifica]
Cariddi (in greco Χάρυβδις) nella mitologia greca era un mostro marino. In principio, Cariddi era una donna, figlia di Poseidone e Gea, dedita alle rapine e famosa per la sua voracità. Un giorno rubò ad Eracle i buoi di Gerione e ne mangiò alcuni. Allora Zeus la fulminò facendola cadere in mare, dove la mutò in un mostro che formava un vortice marino, capace di inghiottire le navi di passaggio. La leggenda la situa presso uno dei due lati dello stretto di Messina, di fronte all'antro del mostro Scilla. Le navi che imboccavano lo stretto erano costrette a passare vicino ad uno dei due mostri. In quel tratto di mare i vortici sono causati dall'incontro delle correnti marine, ma non sono di entità rilevanti.
Secondo il mito, gli Argonauti riuscirono a scampare al pericolo, rappresentato dai due mostri, perché guidati da Teti madre di Achille, una delle Nereidi.

Il ratto di Proserpina [modifica]
Proserpina, figlia di Cerere, viene rapita da Plutone, dio degli inferi, che si era invaghito di lei, il quale emerge dall'oltretomba da una grotta situata nel Lago di Pergusa nei pressi di Enna, dove secondo il mito Proserpina era intenta a cogliere fiori. La scena raffigurata è molto forte: il dio ha ghermito la fanciulla sul suo carro, mentre le fanciulle che la accompagnavano cercano disperatamente di trattenerla. Proserpina lotta, ma ormai i cavalli stanno già varcando le soglie del regno dei morti.

Polifemo [modifica]
Riguardo Polifemo vi sono due miti, l'uno descritto da Omero, per cui Polifemo è un semiumano gigantesco con un solo grande occhio al centro della fronte, che alleva pecore e si nutre di formaggio e, occasionalmente, di uomini. Egli vive in Sicilia dove vi sbarca Ulisse. Egli e i suoi compagni di viaggio vengono catturati dal gigante che ne mangia tre. Dopo un periodo di permanenza in prigionia Odisseo prepara una trappola. Innanzi tutto offre al Ciclope del vino, che ringraziandolo, prima di crollare nel sonno, gli chiede il suo nome. Lui afferma di chiamarsi Nessuno. Poi lo acceca un bastone arroventato al fuoco. In seguito scappa coi compagni con un abile stratagemma: ognuno si sarebbe aggrappato sotto il vello di una pecora e, quando Polifemo portò a pascolare la mandria, gli eroi sarebbero fuggiti.
L'altro mito è descritto nelle Metamorfosi di Ovidio, legato ad "Aci e Galatea". Il primo è un pastore siciliano, la seconda una Nereide. Lei ama lui ed è contraccambiata. Ma si inserisce nella storia il ciclope Polifemo, che ama anch'esso la Ninfa. Così l'"intralciatore" uccide con un grande masso Aci.

Cocalo [modifica]
Cocalo è il figlio del ciclope Briareo, re dei Sicani.
Secondo il mito Dedalo fuggito da Creta assieme al figlio Icaro, si rifugiò presso Cacalo che gli fece costruire Camico, città imprendibile dove Dedalo visse. Ma Minosse venuto a conoscenza dell’arrivo di Dedalo in Sicilia, salpò verso l’isola, ma non riuscì ad evitare le insidie di Cocalo, che prima lo fece mangiare poi lo invitò a fare un bagno con le tre figlie che lo affogarono.

Etna [modifica]
Etna è il nome di una dea della mitologia greca.
Era considerata figlia di Urano e Gea. Il drago Tifone, si supponeva, viveva nelle viscere del vulcano omonimo e ne causava le distruttive eruzioni.
La Sicilia, terra di vulcani e frumento, era causa di dispute tra Efesto e Demetra, dei rispettivamente del fuoco e delle messi. Etna fece da arbitro.

Leggende [modifica]

Castagno dei Cento Cavalli [modifica]
Si narra che una Regina, con al seguito cento cavalieri e dame fu sorpresa da un temporale, durante una battuta di caccia, nelle vicinanze dell'albero e proprio sotto i rami trovò riparo con tutto il numeroso seguito. Il temporale continuò fino a sera, così la regina passò sotto le fronde del castagno la notte in compagnia, si dice, di uno o più amanti fra i cavalieri al suo seguito.Non si sa bene quale possa essere la regina, secondo alcuni si tratterebbe di Giovanna I d'Aragona, secondo altri Giovanna I d'Angiò ed è così che la leggenda verrà collegata all'insurrezione del Vespro (XIV-XV secolo). Ma è tutto, molto probabilmente, frutto della semplice fantasia popolare. Ad esempio la regina Giovanna d'Angiò, pur essendo nota per una certa dissolutezza nelle relazioni amorose, è quasi certo che non fu mai in Sicilia.

Colapesce [modifica]
La leggenda narra di un certo Nicola con il diminutivo di "Cola" di Messina, figlio di un pescatore, soprannominato Colapesce per la sua abilità di muoversi in acqua. Quando torna dalle sue numerose immersioni in mare racconta le meraviglie che vede, e addirittura una volta porta un tesoro.
La sua fama arriva al re di Sicilia ed imperatore Federico II che decide di metterlo alla prova. Il re e la sua corte si recano pertanto al largo a bordo di un'imbarcazione. Per prima cosa butta in acqua una coppa, e subito Colapesce la recupera. Il re getta allora la sua corona in un luogo più profondo, e Colapesce riesce nuovamente nell'impresa. Per la terza volta il re mette alla prova Nicola gettando un anello in un posto ancora più profondo, ma passa il tempo e Colapesce non riemerge più.
Secondo la leggenda, scendendo ancora più in profondità Colapesce aveva visto che la Sicilia posava su 3 colonne delle quali una corrosa, ed aveva deciso di restare sott'acqua, sorreggendo la colonna per evitare che l'isola sprofondasse e ancor oggi si trova a reggere l'isola.

Fata Morgana [modifica]
Una leggenda ampiamente diffusa in tutta l'area dello Stretto narra che durante le invasioni barbariche in agosto, mentre il cielo e il mare erano senza un alito di vento, e una leggera nebbiolina velava l'orizzonte, un'orda di conquistatori dopo avere attraversato tutta la penisola giunse alle rive della città di Reggio e si trovò davanti allo stretto che divide la Calabria dalla Sicilia. A pochi chilometri sull'altra sponda sorgeva un'isola - la Sicilia - con un gran monte fumante - l'Etna - ed il Re barbaro si domandava come fare a raggiungerla trovandosi sprovvisto di imbarcazioni, quindi impotente davanti al mare. All'improvviso apparve una donna molto bella, che offrì l'isola al conquistatore, e con un cenno la fece apparire a due passi da lui. Guardando nell'acqua egli vedeva nitidi, i monti, le spiagge, le vie di campagna e le navi nel porto come se potesse toccarli con le mani. Esultando il Re barbaro balzò giù da cavallo e si gettò in acqua, sicuro di poter raggiungere l'isola con un paio di bracciate, ma l'incanto si ruppe e il Re affogò miseramente. Tutto infatti era un miraggio, un gioco di luce della bella e sconosciuta donna, che altri non era se non la Fata Morgana.
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