lunedì 27 ottobre 2008

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Strage di via d'Amelio
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Strage di via d'Amelio
Luogo
Palermo
Data
19 luglio 1992
Tipologia
Autobomba
Morti
6
Feriti
1
Compiuto da
Cosa nostra
Motivazione
Rappresaglia contro la lotta alla mafia
La Strage di via d'Amelio fu un attentato di stampo mafioso operato il 19 luglio 1992 a Palermo in cui persero la vita il giudice antimafia Paolo Borsellino e la sua scorta. L'attentato segue di pochi mesi quello contro l'altro giudice Giovanni Falcone, segnando uno dei momenti più tragici nella lotta alla mafia.
Una Fiat 126 imbottita di esplosivo deflagrò in Via d'Amelio, strada in cui viveva la madre di Borsellino, dalla quale quella domenica il giudice si era recato in visita.
A detta degli agenti di scorta via d'Amelio era una strada pericolosa, tanto che era stato anche chiesto di mettere una zona di rimozione davanti alla casa: la richiesta però non fu accolta dal comune di Palermo.
Oltre a Paolo Borsellino morirono gli agenti di scorta Agostino Catalano (caposcorta), Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e a cadere in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L'unico sopravvissuto è Antonino Vullo. La bomba venne radiocomandata a distanza ma ancora oggi non si è fatta chiarezza su come venne organizzata la strage, nonostante il giudice sapesse di un carico di esplosivi arrivato a Palermo appositamente per lui. C'è il sospetto che il detonatore che ha provocato l'esplosione sia stato azionato dal Castello Utveggio.
C'è, inoltre, un particolare più inquietante di tutti gli altri: l'agendina rossa di Borsellino non venne ritrovata, probabilmente sottratta da qualche investigatore giunto tra i primi sul posto.
A pochi giorni dal 15° anniversario dalla strage, la Procura di Caltanissetta ha aperto un nuovo fascicolo per scoprire se persone legate agli apparati deviati dei servizi segreti possano avere ricoperto un ruolo nella strage.

Polemiche relative alla Strage di via d'Amelio
In occasione del quindicesimo anniversario della strage di Via D’Amelio, in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta, grande scalpore ha destato una lettera aperta del fratello del giudice, Salvatore, indirizzata all'ex-Ministro degli Interni Nicola Mancino. Tale lettera, intitolata "19 luglio 1992: Una strage di stato" ipotizza che l'allora Ministro degli Interni Mancino fosse a conoscenza della causa dell'omicidio di Borsellino. In un passaggio si legge infatti,
"Chiedo al senatore Nicola Mancino, del quale ricordo negli anni immediatamente successivi al 1992 una lacrima spremuta a forza durante una commemorazione di Paolo a Palermo, di sforzare la memoria per raccontarci di che cosa si parlò nell’incontro con Paolo nei giorni immediatamente precedenti alla sua morte. O spiegarci perché, dopo avere telefonato a mio fratello per incontrarlo mentre stava interrogando [il pentito mafioso] Gaspare Mutolo, a sole 48 ore dalla strage, gli fece invece incontrare il capo della Polizia Parisi e il dottor Contrada [ex numero tre del SISDE, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa], incontro dal quale Paolo uscì sconvolto tanto, come raccontò lo stesso Mutolo, da tenere in mano due sigarette accese contemporaneamente...In quel colloquio si trova sicuramente la chiave dalla sua morte e della strage di Via D’Amelio."[1]
Altri fatti, tra l'altro citati nella lettera di Salvatore Borsellino, misero in questione l'operato del Ministero degli Interni guidato allora da Mancino: destarono scalpore, per esempio, la presenza in via D'Amelio di un poliziotto trasferito alcuni mesi prima alla questura di Firenze perché colluso con un gruppo di spacciatori di droga, e la presenza in Via D'Amelio dell'allora Capitano dell'Arma dei Carabinieri Arcangioli, visto allontanarsi dal luogo della strage con in mano la borsa di Paolo Borsellino appena estratta dai rottami della Croma blindata nella quale sedeva il giudice qualche istante prima dell'esplosione. A detta dei familiari e dei colleghi di Borsellino, questa borsa conteneva un'agenda che il giudice utilizzava per annotare le considerazioni più private sulle sue indagini e colloqui.[2]
A fronte delle critiche sul suo operato all'epoca della strage di via D'Amelio, Mancino sostenne di non ricordarsi di nessun incontro con il giudice nel mese di Luglio 1992 e mise in dubbio l'attendibilità del pentito Mutolo. Salvatore Borsellino replicò con un'altra lettera aperta:
"In merito alla persistenza delle lacune di memoria del sen. Mancino sull'incontro con Paolo Borsellino del primo Luglio 1992, evidenti dalla sua risposta alle mie dichiarazioni e preoccupanti per chi è stato chiamato alla vicepresidenza del CSM, ritengo mio dovere fargli notare quanto segue. Se è vero che le dichiarazioni di un pentito come Gaspare Mutolo non possano assumere da solo valore probatorio se non suffragate da solidi riscontri è anche vero che di riscontro ne esiste almeno uno, e incontrovertibile, dato che è siglato dallo stesso Paolo Borsellino. Nella sua seconda agenda, quella grigia in possesso dei suoi familiari, che, essendo stata lasciata a casa da Paolo il 19 luglio non ha potuto essere sottratta come quella rossa [scomparsa in seguito alla strage di Via d'Amelio], Paolo ha annotato: '1 luglio ore 19:30 : Mancino'. In quanto alla credibilità dello stesso Mutolo, il quale riferisce la frase di Paolo durante l'interrogatorio: 'devo smettere perché mi ha chiamato il ministro, manco mezz'ora e torno ....', devo ricordare al sen. Mancino che è proprio grazie alle dichiarazioni di Gaspare Mutolo che il dott. Contrada, funzionario del SISDE, ha potuto essere condannato in via definitiva dalla Corte di Cassazione. Inoltre lo stesso [procuratore aggiunto alla procura di Palermo] Vittorio Aliquò ha dichiarato di aver accompagnato Paolo fino alla soglia dell'ufficio di Mancino, ed è impossibile credere che lo stesso non possa ricordare di avere incontrato non un qualsiasi magistrato tra i tanti che quel giorno venivano a complimentarsi per la sua nomina, ma un giudice ad estremo rischio di vita che in quei giorni era al centro dell'attenzione di tutti gli Italiani."
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Strage di Capaci
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Strage di Capaci
Luogo
Capaci (Palermo)
Data
23 maggio 199217.58
Tipologia
Esplosione
Morti
5
Feriti
23
Compiuto da
Giovanni Brusca e almeno altri 4 collaboratori
Motivazione
Rappresaglia contro la lotta alla mafia
La Strage di Capaci (chiamato in siciliano "l'attentatuni") fu un attentato mafioso in cui il 23 maggio 1992, sull'autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci (ma in territorio del comune di Isola delle Femmine) e a pochi chilometri da Palermo, persero la vita il giudice antimafia Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, anch'ella magistrato, e tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro.
Nel tragico attentato sono rimasti miracolosamente illesi altri quattro componenti del gruppo al seguito del magistrato: l'autista giudiziario Giuseppe Costanza (seduto nei sedili posteriori dell'auto blindata guidata da Falcone) e gli agenti Paolo Capuzzo, Gaspare Cervello e Angelo Corbo.
Gli esecutori materiali del delitto furono almeno cinque uomini (tra cui Giovanni Brusca, che fu la persona che fisicamente azionò il telecomando da grande distanza al momento del passaggio dell'auto blindata del giudice, che tornava da Roma), i quali avevano riempito di tritolo un tunnel che avevano scavato sotto l'autostrada (per assicurarsi la buona riuscita del delitto, ne misero circa 500 kg) nel tratto che collega l'aeroporto di Punta Raisi (oggi "Aeroporto Falcone-Borsellino") al capoluogo siciliano. A tutt'oggi sono conosciuti soltanto i nomi degli esecutori materiali della strage, poiché le indagini mirate a scoprire i mandanti ed eventuali intrecci di natura politica non hanno prodotto risultati significativi.
La strage di Capaci ha segnato una delle pagine più tragiche della lotta alla mafia ed è strettamente connessa al successivo attentato di cui rimase vittima il giudice Paolo Borsellino, amico e collega di Falcone
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Le indagini eseguite non hanno mai portato alla verità. Secondo alcune solide indiscrezioni molti indizi relativi ai mandanti sarebbero stati tenuti segreti poiché, se divenuti di pubblico interesse, avrebbero portato ad una grave instabilità della democrazia in Italia. Ne sono testimonianza i sopralluoghi effettuati nel covo dove fu catturato il boss Totò Riina: dopo l'arresto, infatti, molti documenti sparirono senza mai essere ritrovati.

Commemorazioni [modifica]
Ogni anno, il 23 maggio, si tiene a Palermo e Capaci una lunga serie di attività, in commemorazione della morte del magistrato Giovanni Falcone e di Francesca Morvillo. Inoltre è stata creata anche una fondazione di nome "Giovanni e Francesca Falcone" guidata da Maria Falcone, la sorella del magistrato.

Voci correlate [modifica]
Strage di via d'Amelio
Pool antimafia

Bibliografia [modifica]
Giovanni Bianconi. Gaetano Savatteri. L'attentatuni. Storia di sbirri e di mafiosi. Roma, Baldini Castoldi Dalai, 2001. ISBN 8880894609
Luigi Garlando. Per questo mi chiamo Giovanni. Fabbri Editori, 2004. ISBN 9788845103032.
Pino Corrias. Davanti al rettilineo di Capaci, come in un labirinto, in Luoghi comuni. Dal Vajont a Arcore, la geografia che ha cambiato l'Italia. Milano, Rizzoli, 2006. pp. 127-144. ISBN 9788817010801.

Filmografia [modifica]
L'attentatuni, regia di Claudio Bonivento, 2001
In un altro paese, regia di Marco Turco, 2006

Collegamenti esterni [modifica]
Sito della fondazione Giovanni e Francesca Falcone
Sito sulla strage
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