martedì 29 settembre 2009
Momò Calascibetta nasce a Palermo nel vicolo del Forno….Si laurea in Architettura nel 1977 con Gregotti e Pollini e, nonostante l'intrigante passione per essa, sceglie la Pittura che aveva praticato sin da piccolo.Alla mostra”Il sacro nell'......Arte”, nel 1977 presso l'Arcivescovado di Palermo, presenta l'opera dal titolo “Processione e Processi” che lo pone subito all'attenzione della critica e del pubblico ma che scatena la reazione di censura dalla parte del clero. Infatti chiara è la condanna che Momò fa alla ipocrisia della chiesa davanti alla sofferenza delle creature umane sin dalla prima sua tela esposta :”SE LASCI CORRERE LIBERO IL PENSIERO RIESCI PERICOLOSO SENZA SAPERLO!”Leonardo Sciascia visita questa mostra ed inizia così un rapporto segnato da reciproco rispetto e totale intesa che porterà lo scrittore a definire per primo la pittura di Calascibetta come il racconto dettagliato….”dell'imbestiamento di una classe di potere già sufficientemente imbesti...Visualizza altro
lunedì 28 settembre 2009
Travelnostop.com: Palermo, anche i sordi alle Notti Palatine
Travelnostop.com: Palermo, anche i sordi alle Notti Palatine: "Palermo, anche i sordi alle Notti Palatine
Da dicembre l'iniziativa promossa da Fondazione Federico II l'Ens
Consentire di godere delle bellezze della Capella palatina e di Palazzo dei Normanni ai sordi, con visite guidate nella lingua italiana dei segni. E’ l’iniziativa “Notti palatine apre ai sordi”, promossa dalla Fondazione Federico II in collaborazione con l’Ente nazionale dei sordomuti (Ens). Le passeggiate si svolgeranno durante i normali orari delle “Notti palatine”, dal martedì al venerdì, dalle 21 fino alle 23, con la possibilità di prenotare una visita, a un costo ridotto, anche il giorno stesso, scegliendo tra i tre turni disponibili. Le normali guide saranno affiancate durante le visite da interpreti in grado di dialogare nella lingua italiana dei segni. Il 27 settembre è prevista una serata di inaugurazione dell'iniziativa a cui parteciperanno gruppi di non udenti invitati dall'Ens. La manifestazione riprenderà a dicembre e sarà aperta a tutti. Per prenotare i tour è necessario chiamare lo 091.6256013.
Fonte: http://sicilia.travelnostop.com/news.aspx?id=67984"
Da dicembre l'iniziativa promossa da Fondazione Federico II l'Ens
Consentire di godere delle bellezze della Capella palatina e di Palazzo dei Normanni ai sordi, con visite guidate nella lingua italiana dei segni. E’ l’iniziativa “Notti palatine apre ai sordi”, promossa dalla Fondazione Federico II in collaborazione con l’Ente nazionale dei sordomuti (Ens). Le passeggiate si svolgeranno durante i normali orari delle “Notti palatine”, dal martedì al venerdì, dalle 21 fino alle 23, con la possibilità di prenotare una visita, a un costo ridotto, anche il giorno stesso, scegliendo tra i tre turni disponibili. Le normali guide saranno affiancate durante le visite da interpreti in grado di dialogare nella lingua italiana dei segni. Il 27 settembre è prevista una serata di inaugurazione dell'iniziativa a cui parteciperanno gruppi di non udenti invitati dall'Ens. La manifestazione riprenderà a dicembre e sarà aperta a tutti. Per prenotare i tour è necessario chiamare lo 091.6256013.
Fonte: http://sicilia.travelnostop.com/news.aspx?id=67984"
Peppino Impastato
Nasce a Cinisi il 5 gennaio 1948 da Felicia Bartolotta e Luigi Impastato. La famiglia Impastato è bene inserita negli ambienti mafiosi locali: si noti che una sorella di Luigi ha sposato il capomafia Cesare Manzella, considerato uno dei boss che individuarono nei traffici di droga il nuovo terreno di accumulazione di denaro. Frequenta il Liceo Classico di Partinico ed appartiene a quegli anni il suo avvicinamento alla politica, particolarmente al PSIUP, formazione politica nata dopo l'ingresso del PSI nei governi di centro-sinistra. Assieme ad altri giovani fonda un giornale, "L'Idea socialista" che, dopo alcuni numeri, sarà sequestrato: di particolare interesse un servizio di Peppino sulla "Marcia della protesta e della pace" organizzata da Danilo Dolci nel marzo del 1967: il rapporto con Danilo, sia pure episodico, lascia un notevole segno nella formazione politica di Peppino. In una breve nota biografica Peppino scrive:
domenica 27 settembre 2009
SAN VITO LO CAPO: OLTRE 200 MILA VISITATORI AL COUS COUS FEST
SAN VITO LO CAPO: OLTRE 200 MILA VISITATORI AL COUS COUS FEST: "SAN VITO LO CAPO: OLTRE 200 MILA VISITATORI AL COUS COUS FEST
SAN VITO LO CAPO (TRAPANI) (ITALPRESS) - Si e' chiusa a San Vito lo Capo, con un bilancio di 200 mila visitatori la dodicesima edizione del Cous Cous Fest, il festival internazionale dell'integrazione culturale. Il bilancio dell'ultima edizione della rassegna, con"
SAN VITO LO CAPO (TRAPANI) (ITALPRESS) - Si e' chiusa a San Vito lo Capo, con un bilancio di 200 mila visitatori la dodicesima edizione del Cous Cous Fest, il festival internazionale dell'integrazione culturale. Il bilancio dell'ultima edizione della rassegna, con"
RUGBY
"RUGBY: SERIE A. SICILIANE LANCIANO LA SFIDA
pubblicato da null su Notizie sulla Sicilia - 49 minuti faROMA Prima giornata del Campionato di Serie A molto combattuta"
LAZIO PALERMO
"CALCIO: SERIE A. LAZIO-PALERMO 1-1
pubblicato da null su Notizie sulla Sicilia - 3 ore faPALERMO La Lazio continua a non vincere in casa, ma questa volta arriva un pareggio contro il Palermo dopo le..."
FORSE ABBIAMO TROVATO IL PORTIERE GRAZIE SIRIGU
CATANIA ROMA
"CALCIO: SERIE A. CATANIA-ROMA 1-1
pubblicato da null su Notizie sulla Sicilia - 3 ore faCATANIA Rocambolesco pareggio fra Catania e Roma con giallorossi che acciuffano l'1-1 al secondo minuto (su 7) di recupero con..."
sabato 26 settembre 2009
Mortillaro.
Nobile famiglia palermitana, che si vuole d’origine Normanna. Il Muscia annota tra i feudatari sotto re Federico gli eredi del fu Adinolfo Murtillani (Mortillaro?), come possessori della metà del Casale di Cadera e del feudo di Sabuci; un messer Simone Mortellaro è annotato nella mastra nobile del Mollica (lista IV, anno 1590); un Antonino, con privilegio del 12 novembre 1695, ottenne la concessione del titolo di barone di Ciantro Soprano; un Carlo Mortillaro e Asmundo, barone del Ciantro, fu rettore nobile dell’ospedale di Palermo negli anni 1721, 1742-43-44 e senatore della stessa città negli anni 1736-37-38; un Antonio Mortillaro ed Arena fu senatore di Palermo negli anni 1748-49 e 1752-53, governatore del Monte di Pietà nel 1756 e, con privilegio dato a 9 gennaio esecutoriato a 12 settembre 1754, ottenne la concessione del titolo di marchese; un Vincenzo fu governatore del Monte di Pietà di Palermo e senatore della stessa città nel 1760-61 e 1765-66; un Carlo Mortillaro-La Via e Valguarnera a 14 febbraio 1792 ottenne investitura del titolo di marchese; un altro Vincenzo, riconosciuto nel titolo di marchese con real rescritto del 13 febbraio 1856, fu cavaliere dell’ordine Costantiniano, cavaliere di gran croce dell’ordine di Francesco I, ecc., autore di parecchie pregevoli pubblicazioni, tra le quali degne di nota il “Medagliere Arabo-Siculo”, le “Antiche pergamene della Magione”, il “Dizionario Siciliano”, ecc.
Nobile famiglia palermitana, che si vuole d’origine Normanna. Il Muscia annota tra i feudatari sotto re Federico gli eredi del fu Adinolfo Murtillani (Mortillaro?), come possessori della metà del Casale di Cadera e del feudo di Sabuci; un messer Simone Mortellaro è annotato nella mastra nobile del Mollica (lista IV, anno 1590); un Antonino, con privilegio del 12 novembre 1695, ottenne la concessione del titolo di barone di Ciantro Soprano; un Carlo Mortillaro e Asmundo, barone del Ciantro, fu rettore nobile dell’ospedale di Palermo negli anni 1721, 1742-43-44 e senatore della stessa città negli anni 1736-37-38; un Antonio Mortillaro ed Arena fu senatore di Palermo negli anni 1748-49 e 1752-53, governatore del Monte di Pietà nel 1756 e, con privilegio dato a 9 gennaio esecutoriato a 12 settembre 1754, ottenne la concessione del titolo di marchese; un Vincenzo fu governatore del Monte di Pietà di Palermo e senatore della stessa città nel 1760-61 e 1765-66; un Carlo Mortillaro-La Via e Valguarnera a 14 febbraio 1792 ottenne investitura del titolo di marchese; un altro Vincenzo, riconosciuto nel titolo di marchese con real rescritto del 13 febbraio 1856, fu cavaliere dell’ordine Costantiniano, cavaliere di gran croce dell’ordine di Francesco I, ecc., autore di parecchie pregevoli pubblicazioni, tra le quali degne di nota il “Medagliere Arabo-Siculo”, le “Antiche pergamene della Magione”, il “Dizionario Siciliano”, ecc.
venerdì 25 settembre 2009
Francofonte SR
Francofonte (C.A.P. 96015) dista 196 Km. da Agrigento, 134 Km. da Caltanissetta, 45 Km. da Catania, 114 Km. da Enna, 141 Km. da Messina, 276 Km. da Palermo, 60 Km. da Ragusa, 61 Km. da Siracusa, alla cui provincia appartiene, 369 Km. da Trapani.
Il comune conta 14.481 abitanti e ha una superficie di 7.395 ettari per una densità abitativa di 196 abitanti per chilometro quadrato. Sorge in una zona collinare litoranea, posta a 281 metri sopra il livello del mare.
Il municipio è sito in piazza G.Garibaldi, tel. 0957-887111 fax. 0959-49941. L'indirizzo di posta elettronica è il seguente: francofonte@tiscalinet.it.
È un centro prevalentemente agricolo, i cui prodotti tipici sono gli agrumi, il grano e le olive.
Il nome ebbe origine dall'omonimo castello, attorno al quale si formò il borgo medievale nel sec. XIV, sotto il governo dei Chiaramonte. Tuttavia, le prime testimonianze storiche sull'esistenza di un centro abitato risalgono al sec. II d.C.: esse attestano la presenza della città di Hydra di origine greca. Nel 1394 ne divenne barone Berengario Cruyllas; dal 1509 al 1532 fu possedimento della famiglia Moncada, alla quale successero i Gravina. Durante i secc. XIV e XV si registrò un progressivo decremento demografico, a causa della crisi agraria che investì la Sicilia in questo periodo e dell'emigrazione verso centri vicini. Un incremento della popolazione si ebbe dopo il terremoto del 1693.
Tra i monumenti più importanti ricordiamo il Castello medievale, l'ex Palazzo del Marchese del sec. XVIII e la chiesa Madre.
Una storia interessante su Francofonte riguarda il nobile Adinolfo Mortillaro, proprietario del Castello di Gàdara, il quale, dovendo partire per la guerra del Vespro, fu costretto ad allontanarsi dall'innamoratissima moglie. La leggenda vuole che costei morì per il dolore causato dalla separazione
Il comune conta 14.481 abitanti e ha una superficie di 7.395 ettari per una densità abitativa di 196 abitanti per chilometro quadrato. Sorge in una zona collinare litoranea, posta a 281 metri sopra il livello del mare.
Il municipio è sito in piazza G.Garibaldi, tel. 0957-887111 fax. 0959-49941. L'indirizzo di posta elettronica è il seguente: francofonte@tiscalinet.it.
È un centro prevalentemente agricolo, i cui prodotti tipici sono gli agrumi, il grano e le olive.
Il nome ebbe origine dall'omonimo castello, attorno al quale si formò il borgo medievale nel sec. XIV, sotto il governo dei Chiaramonte. Tuttavia, le prime testimonianze storiche sull'esistenza di un centro abitato risalgono al sec. II d.C.: esse attestano la presenza della città di Hydra di origine greca. Nel 1394 ne divenne barone Berengario Cruyllas; dal 1509 al 1532 fu possedimento della famiglia Moncada, alla quale successero i Gravina. Durante i secc. XIV e XV si registrò un progressivo decremento demografico, a causa della crisi agraria che investì la Sicilia in questo periodo e dell'emigrazione verso centri vicini. Un incremento della popolazione si ebbe dopo il terremoto del 1693.
Tra i monumenti più importanti ricordiamo il Castello medievale, l'ex Palazzo del Marchese del sec. XVIII e la chiesa Madre.
Una storia interessante su Francofonte riguarda il nobile Adinolfo Mortillaro, proprietario del Castello di Gàdara, il quale, dovendo partire per la guerra del Vespro, fu costretto ad allontanarsi dall'innamoratissima moglie. La leggenda vuole che costei morì per il dolore causato dalla separazione
Maccu di San Giuseppe
: "Maccu di San Giuseppe
Ingredienti:
Fave secche gr. 150, ceci gr. 100, lenticchie gr. 100, fagioli secchi gr. 100, piselli secchi gr. 100, castagne secche gr. 150, cipolla 1, pomodori secchi 2, sedano un mazzetto, olio, sale e pepe.
Preparazione:
Mettete al bagno fin dal giorno prima i legumi e le castagne secche, ad eccezione delle lenticchie che lascerete ad ammollare solo per qualche ora.
Sgusciate parte delle fave, le altre invece spizzicatele semplicemente nella parte superiore. Cucinate i legumi tutti insieme, a fuoco molto basso, possibilmente in un tegame di coccio, insieme ad un mazzetto di sedano, ed ai pomodori secchi tagliati a pezzi, per circa tre ore.
Condite con sale e pepe e a fine cottura aggiungete olio crudo."
Ingredienti:
Fave secche gr. 150, ceci gr. 100, lenticchie gr. 100, fagioli secchi gr. 100, piselli secchi gr. 100, castagne secche gr. 150, cipolla 1, pomodori secchi 2, sedano un mazzetto, olio, sale e pepe.
Preparazione:
Mettete al bagno fin dal giorno prima i legumi e le castagne secche, ad eccezione delle lenticchie che lascerete ad ammollare solo per qualche ora.
Sgusciate parte delle fave, le altre invece spizzicatele semplicemente nella parte superiore. Cucinate i legumi tutti insieme, a fuoco molto basso, possibilmente in un tegame di coccio, insieme ad un mazzetto di sedano, ed ai pomodori secchi tagliati a pezzi, per circa tre ore.
Condite con sale e pepe e a fine cottura aggiungete olio crudo."
giovedì 24 settembre 2009
BlogSicilia
BlogSicilia: "Carnevale di Sciacca, Ferma alla Perriera?
di Maria Elena Fazio
Carnevale sì, Carnevale no, Carnevale qui, Carnevale lì, Carnevale boh. Solo una manciata di mesi fa, “veicolato” dall’inno di un simpatico carro allegorico, si scusava per il ritardo, ora a quanto pare dovrà cominciare a scusarsi per l’ennesimo vaso di Pandora lanciato dal carro del suo patron, il verde e allegro signor Nappa, a tutti i nostalgici saccensi in festa, nel corso dell’ultima edizione della manifestazione, per il tanto desiderato ritorno in centro storico.
Continua a leggere »
di Maria Elena Fazio
Carnevale sì, Carnevale no, Carnevale qui, Carnevale lì, Carnevale boh. Solo una manciata di mesi fa, “veicolato” dall’inno di un simpatico carro allegorico, si scusava per il ritardo, ora a quanto pare dovrà cominciare a scusarsi per l’ennesimo vaso di Pandora lanciato dal carro del suo patron, il verde e allegro signor Nappa, a tutti i nostalgici saccensi in festa, nel corso dell’ultima edizione della manifestazione, per il tanto desiderato ritorno in centro storico.
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mercoledì 23 settembre 2009
martedì 22 settembre 2009
Campobello di Mazara


Campobello di Mazara: "Campobello di Mazara (C.A.P. 91021) dista 116 Km. da Agrigento, 186 Km. da Caltanissetta, 308 Km. da Catania, 227 Km. da Enna, 364 Km. da Messina, 105 Km. da Palermo, 252 Km. da Ragusa, 333 Km. da Siracusa, 64 Km. da Trapani alla cui provincia appartiene."
lunedì 21 settembre 2009
Filosofia sicula « Il nuovo quotidiano online sulla Sicilia – Live Sicilia
Filosofia sicula « Il nuovo quotidiano online sulla Sicilia – Live Sicilia: "Filosofia sicula
8 commentiFILOSOFIA SICULA Catuniari, chicchiari, cutugnu
10 ago Un piccolo Dizionario filosofico siciliano. È quel che, un po’ per volta, stiamo costruendo, partendo da alcune espressioni dialettali che ci conducono alla scoperta di un codice tutto nostro: una sorta di filosofia sicula della lentezza, soggetta ad un deperimento rapido e forse inarrestabile. L’uso del dialetto è in calo, e certe sottigliezze sfuggono ai [...] >>
5 commentiFilosofia sicula"
8 commentiFILOSOFIA SICULA Catuniari, chicchiari, cutugnu
10 ago Un piccolo Dizionario filosofico siciliano. È quel che, un po’ per volta, stiamo costruendo, partendo da alcune espressioni dialettali che ci conducono alla scoperta di un codice tutto nostro: una sorta di filosofia sicula della lentezza, soggetta ad un deperimento rapido e forse inarrestabile. L’uso del dialetto è in calo, e certe sottigliezze sfuggono ai [...] >>
5 commentiFilosofia sicula"
domenica 20 settembre 2009
sabato 19 settembre 2009
venerdì 18 settembre 2009
giovedì 17 settembre 2009
i fenici in Sicilia

i fe
I FENICI E LA SICILIA
a cura della prof.ssa Tina Pandolfino
ha collaborato la classe V E
I Fenici conoscevano bene le coste siciliane e le isolette vicine e commerciavano con gli abitanti del luogo.
Con l'arrivo in Sicilia di numerosi coloni greci essi preferirono creare insediamenti stabili e territorialmente difendibili.
Fondarono così, nella Sicilia occidentale, Mozia posta di fronte a Cartagine e in seguito nacquero Solunto e infine Panormos.
Ci piace immaginare una piccola flotta di mercanti punici (cartaginesi) o fenici provenienti da altre colonie fenicie in navigazione sotto costa da Ovest verso Est lungo la Sicilia settentrionale. Siamo intorno all'anno 730 a. C.
Superando la punta estrema dell'odierno Capo San Vito, scoprirono un enorme golfo (il Golfo di Castellammare) tutto sabbioso, poco adatto alle soste. Superando ancora gli speroni rocciosi dell'odierna Punta Raisi, di Capo Gallo e del Monte Pellegrino, subito dopo l'Addaura, notarono un tratto di costa che presentava il grande estuario di un fiume, luogo ideale per rifornirsi di acqua dolce. Le acque erano così calme e copiose che permettevano di risalire il fiume verso l'interno e trovare un facile riparo al naviglio. Il luogo doveva apparire particolarmente bello e rilassante oltre che suggestivo. La foce generava un ampio bacino, in alcune parti paludoso, ricco di canne e papiri, un ambiente favorevole alla riproduzione di uccelli migratori ed animali acquatici stanziali.
Questo luogo venne chiamato Panormos (nome di origine greca che vuoi dire tutto porto) e opportunamente attrezzato avrebbe permesso l'attracco alle navi che all'interno dell'estuario potevano essere protette dalle mareggiate e celate alla vista di altri naviganti.
Risalendo i due bracci del fiume gli esploratori si accorsero che non si trattava di un unico corso d'acqua ma di due distinti fiumi; il Kemonia ad oriente (oggi deviato in direzione del fiume Oreto) e il Papireto ad occidente (oggi ingrottato).
Il tratto di terra che veniva generato dai letti dei due fiumi era fresco e ventilato, degradante verso il mare e nel punto elevato, circa 30 metri sul livello del mare, risultava ottimale come luogo di osservazione e favorevole all'insediamento umano. Nacque così nell'area prescelta il primo nucleo abitativo fenicio che prese il nome di Paleapoli. I residenti della Paleapoli, genti composte da diverse etnie tra cui indigeni siculi, greci, fenici e puni, col tempo fortificarono la loro città; alzarono alte mura difensive (che ancora oggi si possono vedere ad esempio in Corso Alberto Amedeo, in Via del Bastione ed in altri punti della città) e crearono diverse porte di accesso (presumibilmente 4) che all'imbrunire o in caso di pericolo venivano chiuse.
La Paleapoli crebbe velocemente con l'aumento della popolazione e l'intensificarsi dei commerci con Cartagine.
Si rese necessario, quindi, costruire nuove abitazioni, botteghe artigiane e magazzini al di fuori delle mura di cinta, verso il mare.
Nacque così una nuova città ormai più punica che fenicia: la Neapoli, che a sua volta fu un tutt'uno con la Paleapoli e venne difesa anch'essa da alte mura in continuazione della cinta originaria.
La Paleapoli
La Paleapoli rappresentò il nucleo abitativo primario della nuova Panormos. Fu cinta da alte mura e dotata di due porte: una orientata verso il mare (nord est) ed una orientata nel senso opposto a sud ovest. Quest'ultimo varco portava verso un'area pianeggiante ed omogenea: il luogo adatto alla futura Necropoli.
Della vecchia cinta muraria rimangono ancora oggi pochi tratti ma, tutto sommato, ben conservati: il muraglione di Via del Bastione eretto a ridosso del letto del fiume Kemonia e il muraglione di Corso Alberto Amedeo eretto sulla sponda destra del fiume Papireto.
La Neapoli
La Neapoli rappresentò la naturale espansione della città verso il mare. Essa in pochi anni si ingrandì più del doppio. Le botteghe artigiane, i mercati, i cantieri e le altre attività e gli addetti ai servizi facevano convivere serenamente gli abitanti la cui cittadinanza era formata da: indigeni, fenici, cartaginesi, greci e quant'altri lavorassero e risiedessero nella città.
L'intreccio dei rapporti sociali e la varietà di razze favorì sicuramente la futura cultura multi-razziale e multietnica di cui il popolo palermitano ancora oggi va fiero.
La cinta muraria venne estesa al nuovo perimetro e tre nuove porte vennero aperte in aggiunta all'unica rimasta della vecchia cinta: la porta che conduceva all'area riservata dove venivano seppelliti i morti, le 4 porte erano orientate in modo da permettere l'ispezione dei 4 lati dei muri perimetrali.
Le mura della Neapoli sono osservabili all'angolo tra Piazza Bellini e Via Maqueda. Il senso in cui si protendono, e cioè verso il mare, ci fanno comprendere i confini di allora, verso ovest la Neapoli, verso est il corso del Fiume Kemonia e la campagna.
La Necropoli
Con l'insediamento dei fenici in Panormos nacque una seconda città, la città dei morti, la Necropoli, un luogo sacro dove seppellire i defunti.
Naturalmente la Necropoli si doveva trovare al di fuori delle mura cittadine.
Il luogo prescelto ricadde su quell'area, a monte, che era la naturale continuazione del tratto di terra generato dai due fiumi Kemonia e Papireto, area che oggi ricade tra Piazza Indipendenza, Corso Pisani, Via Cuba, Via Pindemonte e Via Danisinni.
I sistemi di sepoltura utilizzati erano due: l'inumazione, cioè la sepoltura semplice; l'incinerazione, cioè la cremazione del corpo le cui ceneri venivano raccolte e sistemate in vasi di terracotta e quindi seppellite.
I tipi di sepoltura erano diversi:
vi erano semplici fosse o urne cinerarie scavate nella terra; semplici sarcofagi scavati nella pietra calcaretica (roccia di origine marina) e ricoperti da tegole in terracotta o da una lastra in calcarenite; tombe a camera a cui si accedeva da una scaletta scavata nella roccia e il cui ambiente era una piccola stanza al cui interno si trovava il sarcofago.
Gli oggetti strettamente personali (anelli, gioielli, ecc.) venivano seppelliti nel sarcofago insieme al defunto, il corredo funerario (piatti, brocche, lucerne, coppe, unguentari, ampolle, ecc.) veniva collocato all'interno della camera o vicino al sarcofago.
Le attività a Panormos
Le attività all'interno della città erano numerose e le risorse notevoli. Il porto aveva un'importanza notevolissima, da esso e per esso partivano ed arrivavano le merci. Intorno al porto, infatti, ruotavano la maggior parte delle attività economiche e commerciali, oggi diremmo di import ed export.
L'agricoltura e l'allevamento (grazie ai numerosi pascoli) erano molto diffusi e praticati e costituivano la principale fonte di sostentamento della popolazione.
Anche la pesca e la caccia erano attività molto praticate e si svolgevano presso le acque stagnanti e lagunari dell'estuario dei due fiumi o al di fuori delle mura cittadine nelle campagne o nei boschi limitrofi. I boschi vicini, altresì, fornivano ottimo legname per la costruzione delle case, degli arredi, degli utensili, degli attrezzi agricoli, per la riparazione del naviglio e per alimentare le fornaci utilizzate per la produzione di ceramica o di pasta di vetro.
L'argilla ricavata dalle numerose cave veniva usata per produrre ceramica. Infatti le officine artigiane panormite erano specializzate nella realizzazione di ceramica comune ad un solo colore e talvolta decorata. I lavori più comuni riguardavano la creazione di anfore a base piatta o a base conica (utili al trasporto navale; le stive venivano riempite di sabbia e queste anfore venivano conficcate su tale sabbia per evitare che in condizioni di mare mosso esse potessero inclinarsi o rotolare e rompendosi perdere il prezioso contenuto soprattutto grano, olio e vino), brocche (per attingere e versare liquidi), piatti (utilizzati per mangiare), pignatte, tegami e olle (per cucinare sul fuoco).
Veniva prodotta, ma in limitata quantità, anche ceramica figurata, di imitazione Corinzia, molto fine e pregiata come kylix (coppa che serviva per bere), skyphos (coppa più grande, serviva per bere), piatti, guttus (utilizzato per far bere i bambini), lucerne (ad olio servivano ad illuminare), aryballos per contenere unguenti e vasi di tipo attico in gran parte prodotti per l'esportazione o utilizzati come corredo funerario dei defunti più ricchi. La maggior parte del vasellame ritrovato nella necropoli è però da attribuire a produzioni provenienti da fabbriche probabilmente non panormite.
Va ricordata anche la produzione di serie di figurine di terracotta utilizzando stampi anch'essi di terracotta all'interno dei quali veniva versata dell'argilla liquida o a volte tutto lo stampo veniva immerso nell'argilla liquida. Dopo una prima essiccazione, tolto lo stampo, le figure venivano colorate e successivamente infornate. Esse rappresentano figure femminili o animali. Gli artigiani ceramisti di Panormos avevano una cura particolare nel raffinare l'argilla.
Essa veniva depurata in acqua corrente dove perdeva le particelle leggere e faceva cadere a fondo le impurità. Successivamente veniva setacciata per renderla fine poi digrassata con particolari accorgimenti e cioè: veniva essiccata poi grattugiata e mischiata con cenere e sabbia finissima e infine reidratata.
L'argilla così ottenuta era pronta per essere lavorata al tornio piatto che ruotava liberamente su di un asse. La velocità poteva essere regolata a piacimento dall'artigiano dando maggiore o minore spinta con i piedi su di un secondo piatto posto in basso e collegato all'asse.
La ceramica dopo la lavorazione manuale veniva decorata e cotta al forno. Esso aveva due piani: uno inferiore che costituiva la fornace dove si poneva la legna e uno superiore a forma di cupola, separato dalla fornace da un piano forato. In cima alla cupola era posto uno sfiatatoio che permetteva di far uscire i vapori superflui.
Un artigianato molto particolare presente nella panormos punica riguardava la lavorazione dei metalli preziosi e la fabbricazione di gioielli. Uomini e donne indossavano volentieri collane, bracciali, anelli, amuleti, pendenti. I materiali adoperati erano: l'argento e il bronzo e la tecnica più comunemente usata era il lavoro a sbalzo.
Molto adoperata era pure la pasta vitrea multicolore montata su fili d'argento o di bronzo che adornava bracciali e collane.
A Panormos fu presente anche una zecca che coniò monete in argento e in bronzo imitando le altre importanti città del mediterraneo. Un discorso a parte meritano le attività legate alla sepoltura dei morti all'interno della Necropoli.
pagina a cura di Fabiano Costanzo
a cura della prof.ssa Tina Pandolfino
ha collaborato la classe V E
I Fenici conoscevano bene le coste siciliane e le isolette vicine e commerciavano con gli abitanti del luogo.
Con l'arrivo in Sicilia di numerosi coloni greci essi preferirono creare insediamenti stabili e territorialmente difendibili.
Fondarono così, nella Sicilia occidentale, Mozia posta di fronte a Cartagine e in seguito nacquero Solunto e infine Panormos.
Ci piace immaginare una piccola flotta di mercanti punici (cartaginesi) o fenici provenienti da altre colonie fenicie in navigazione sotto costa da Ovest verso Est lungo la Sicilia settentrionale. Siamo intorno all'anno 730 a. C.
Superando la punta estrema dell'odierno Capo San Vito, scoprirono un enorme golfo (il Golfo di Castellammare) tutto sabbioso, poco adatto alle soste. Superando ancora gli speroni rocciosi dell'odierna Punta Raisi, di Capo Gallo e del Monte Pellegrino, subito dopo l'Addaura, notarono un tratto di costa che presentava il grande estuario di un fiume, luogo ideale per rifornirsi di acqua dolce. Le acque erano così calme e copiose che permettevano di risalire il fiume verso l'interno e trovare un facile riparo al naviglio. Il luogo doveva apparire particolarmente bello e rilassante oltre che suggestivo. La foce generava un ampio bacino, in alcune parti paludoso, ricco di canne e papiri, un ambiente favorevole alla riproduzione di uccelli migratori ed animali acquatici stanziali.
Questo luogo venne chiamato Panormos (nome di origine greca che vuoi dire tutto porto) e opportunamente attrezzato avrebbe permesso l'attracco alle navi che all'interno dell'estuario potevano essere protette dalle mareggiate e celate alla vista di altri naviganti.
Risalendo i due bracci del fiume gli esploratori si accorsero che non si trattava di un unico corso d'acqua ma di due distinti fiumi; il Kemonia ad oriente (oggi deviato in direzione del fiume Oreto) e il Papireto ad occidente (oggi ingrottato).
Il tratto di terra che veniva generato dai letti dei due fiumi era fresco e ventilato, degradante verso il mare e nel punto elevato, circa 30 metri sul livello del mare, risultava ottimale come luogo di osservazione e favorevole all'insediamento umano. Nacque così nell'area prescelta il primo nucleo abitativo fenicio che prese il nome di Paleapoli. I residenti della Paleapoli, genti composte da diverse etnie tra cui indigeni siculi, greci, fenici e puni, col tempo fortificarono la loro città; alzarono alte mura difensive (che ancora oggi si possono vedere ad esempio in Corso Alberto Amedeo, in Via del Bastione ed in altri punti della città) e crearono diverse porte di accesso (presumibilmente 4) che all'imbrunire o in caso di pericolo venivano chiuse.
La Paleapoli crebbe velocemente con l'aumento della popolazione e l'intensificarsi dei commerci con Cartagine.
Si rese necessario, quindi, costruire nuove abitazioni, botteghe artigiane e magazzini al di fuori delle mura di cinta, verso il mare.
Nacque così una nuova città ormai più punica che fenicia: la Neapoli, che a sua volta fu un tutt'uno con la Paleapoli e venne difesa anch'essa da alte mura in continuazione della cinta originaria.
La Paleapoli
La Paleapoli rappresentò il nucleo abitativo primario della nuova Panormos. Fu cinta da alte mura e dotata di due porte: una orientata verso il mare (nord est) ed una orientata nel senso opposto a sud ovest. Quest'ultimo varco portava verso un'area pianeggiante ed omogenea: il luogo adatto alla futura Necropoli.
Della vecchia cinta muraria rimangono ancora oggi pochi tratti ma, tutto sommato, ben conservati: il muraglione di Via del Bastione eretto a ridosso del letto del fiume Kemonia e il muraglione di Corso Alberto Amedeo eretto sulla sponda destra del fiume Papireto.
La Neapoli
La Neapoli rappresentò la naturale espansione della città verso il mare. Essa in pochi anni si ingrandì più del doppio. Le botteghe artigiane, i mercati, i cantieri e le altre attività e gli addetti ai servizi facevano convivere serenamente gli abitanti la cui cittadinanza era formata da: indigeni, fenici, cartaginesi, greci e quant'altri lavorassero e risiedessero nella città.
L'intreccio dei rapporti sociali e la varietà di razze favorì sicuramente la futura cultura multi-razziale e multietnica di cui il popolo palermitano ancora oggi va fiero.
La cinta muraria venne estesa al nuovo perimetro e tre nuove porte vennero aperte in aggiunta all'unica rimasta della vecchia cinta: la porta che conduceva all'area riservata dove venivano seppelliti i morti, le 4 porte erano orientate in modo da permettere l'ispezione dei 4 lati dei muri perimetrali.
Le mura della Neapoli sono osservabili all'angolo tra Piazza Bellini e Via Maqueda. Il senso in cui si protendono, e cioè verso il mare, ci fanno comprendere i confini di allora, verso ovest la Neapoli, verso est il corso del Fiume Kemonia e la campagna.
La Necropoli
Con l'insediamento dei fenici in Panormos nacque una seconda città, la città dei morti, la Necropoli, un luogo sacro dove seppellire i defunti.
Naturalmente la Necropoli si doveva trovare al di fuori delle mura cittadine.
Il luogo prescelto ricadde su quell'area, a monte, che era la naturale continuazione del tratto di terra generato dai due fiumi Kemonia e Papireto, area che oggi ricade tra Piazza Indipendenza, Corso Pisani, Via Cuba, Via Pindemonte e Via Danisinni.
I sistemi di sepoltura utilizzati erano due: l'inumazione, cioè la sepoltura semplice; l'incinerazione, cioè la cremazione del corpo le cui ceneri venivano raccolte e sistemate in vasi di terracotta e quindi seppellite.
I tipi di sepoltura erano diversi:
vi erano semplici fosse o urne cinerarie scavate nella terra; semplici sarcofagi scavati nella pietra calcaretica (roccia di origine marina) e ricoperti da tegole in terracotta o da una lastra in calcarenite; tombe a camera a cui si accedeva da una scaletta scavata nella roccia e il cui ambiente era una piccola stanza al cui interno si trovava il sarcofago.
Gli oggetti strettamente personali (anelli, gioielli, ecc.) venivano seppelliti nel sarcofago insieme al defunto, il corredo funerario (piatti, brocche, lucerne, coppe, unguentari, ampolle, ecc.) veniva collocato all'interno della camera o vicino al sarcofago.
Le attività a Panormos
Le attività all'interno della città erano numerose e le risorse notevoli. Il porto aveva un'importanza notevolissima, da esso e per esso partivano ed arrivavano le merci. Intorno al porto, infatti, ruotavano la maggior parte delle attività economiche e commerciali, oggi diremmo di import ed export.
L'agricoltura e l'allevamento (grazie ai numerosi pascoli) erano molto diffusi e praticati e costituivano la principale fonte di sostentamento della popolazione.
Anche la pesca e la caccia erano attività molto praticate e si svolgevano presso le acque stagnanti e lagunari dell'estuario dei due fiumi o al di fuori delle mura cittadine nelle campagne o nei boschi limitrofi. I boschi vicini, altresì, fornivano ottimo legname per la costruzione delle case, degli arredi, degli utensili, degli attrezzi agricoli, per la riparazione del naviglio e per alimentare le fornaci utilizzate per la produzione di ceramica o di pasta di vetro.
L'argilla ricavata dalle numerose cave veniva usata per produrre ceramica. Infatti le officine artigiane panormite erano specializzate nella realizzazione di ceramica comune ad un solo colore e talvolta decorata. I lavori più comuni riguardavano la creazione di anfore a base piatta o a base conica (utili al trasporto navale; le stive venivano riempite di sabbia e queste anfore venivano conficcate su tale sabbia per evitare che in condizioni di mare mosso esse potessero inclinarsi o rotolare e rompendosi perdere il prezioso contenuto soprattutto grano, olio e vino), brocche (per attingere e versare liquidi), piatti (utilizzati per mangiare), pignatte, tegami e olle (per cucinare sul fuoco).
Veniva prodotta, ma in limitata quantità, anche ceramica figurata, di imitazione Corinzia, molto fine e pregiata come kylix (coppa che serviva per bere), skyphos (coppa più grande, serviva per bere), piatti, guttus (utilizzato per far bere i bambini), lucerne (ad olio servivano ad illuminare), aryballos per contenere unguenti e vasi di tipo attico in gran parte prodotti per l'esportazione o utilizzati come corredo funerario dei defunti più ricchi. La maggior parte del vasellame ritrovato nella necropoli è però da attribuire a produzioni provenienti da fabbriche probabilmente non panormite.
Va ricordata anche la produzione di serie di figurine di terracotta utilizzando stampi anch'essi di terracotta all'interno dei quali veniva versata dell'argilla liquida o a volte tutto lo stampo veniva immerso nell'argilla liquida. Dopo una prima essiccazione, tolto lo stampo, le figure venivano colorate e successivamente infornate. Esse rappresentano figure femminili o animali. Gli artigiani ceramisti di Panormos avevano una cura particolare nel raffinare l'argilla.
Essa veniva depurata in acqua corrente dove perdeva le particelle leggere e faceva cadere a fondo le impurità. Successivamente veniva setacciata per renderla fine poi digrassata con particolari accorgimenti e cioè: veniva essiccata poi grattugiata e mischiata con cenere e sabbia finissima e infine reidratata.
L'argilla così ottenuta era pronta per essere lavorata al tornio piatto che ruotava liberamente su di un asse. La velocità poteva essere regolata a piacimento dall'artigiano dando maggiore o minore spinta con i piedi su di un secondo piatto posto in basso e collegato all'asse.
La ceramica dopo la lavorazione manuale veniva decorata e cotta al forno. Esso aveva due piani: uno inferiore che costituiva la fornace dove si poneva la legna e uno superiore a forma di cupola, separato dalla fornace da un piano forato. In cima alla cupola era posto uno sfiatatoio che permetteva di far uscire i vapori superflui.
Un artigianato molto particolare presente nella panormos punica riguardava la lavorazione dei metalli preziosi e la fabbricazione di gioielli. Uomini e donne indossavano volentieri collane, bracciali, anelli, amuleti, pendenti. I materiali adoperati erano: l'argento e il bronzo e la tecnica più comunemente usata era il lavoro a sbalzo.
Molto adoperata era pure la pasta vitrea multicolore montata su fili d'argento o di bronzo che adornava bracciali e collane.
A Panormos fu presente anche una zecca che coniò monete in argento e in bronzo imitando le altre importanti città del mediterraneo. Un discorso a parte meritano le attività legate alla sepoltura dei morti all'interno della Necropoli.
pagina a cura di Fabiano Costanzo

Livesicilia.it e lo scoop naturalistico
di Jophx
Ieri, mentre il cielo veniva giù ed il panico si diffondeva per tutta la città, negli stessi momenti in cui il Municipio veniva evacuato ed i telefoni dei vigili del fuoco andavano a fuoco, ebbene mentre tutto ciò succedeva, veniva messo on line su www.livesicilia.it un bel post a firma di Giovanni Burgio dal titolo ” È riemerso il Kemonia”. Continua a leggere »
di Jophx
Ieri, mentre il cielo veniva giù ed il panico si diffondeva per tutta la città, negli stessi momenti in cui il Municipio veniva evacuato ed i telefoni dei vigili del fuoco andavano a fuoco, ebbene mentre tutto ciò succedeva, veniva messo on line su www.livesicilia.it un bel post a firma di Giovanni Burgio dal titolo ” È riemerso il Kemonia”. Continua a leggere »
domenica 13 settembre 2009
SiciliaInformazioni | Palermo-Bari, le pagelle. Budan infilza lo spiedo al galletto, Pastore incanta a tratti e Miccoli soffre il ?derby?
SiciliaInformazioni Palermo-Bari, le pagelle. Budan infilza lo spiedo al galletto, Pastore incanta a tratti e Miccoli soffre il ?derby?: "Sport • Calcio
Palermo-Bari, le pagelle. Budan infilza lo spiedo al galletto,
Pastore incanta a tratti e Miccoli soffre il “derby”
oggi, 13 settembre 2009 19:59
Nessuno"
oggi siamo rimasti delusi se si continua a soffrire le squadre che sulla carta sono piu deboli Zenga non mangia il panettone come si dice a Milano
Palermo-Bari, le pagelle. Budan infilza lo spiedo al galletto,
Pastore incanta a tratti e Miccoli soffre il “derby”
oggi, 13 settembre 2009 19:59
Nessuno"
oggi siamo rimasti delusi se si continua a soffrire le squadre che sulla carta sono piu deboli Zenga non mangia il panettone come si dice a Milano
venerdì 11 settembre 2009
Ponteranica, rimossa la targa dedicata a Peppino Impastato | Milano la Repubblica.it
Ponteranica, rimossa la targa dedicata a Peppino Impastato Milano la Repubblica.it
non entro nel merito della decisione anche perche per me è indecifrabile
non entro nel merito della decisione anche perche per me è indecifrabile
giovedì 10 settembre 2009
mercoledì 9 settembre 2009
martedì 8 settembre 2009
Mike, Sky e l'amico Fiorello "Se ne va un compagno di giochi" - Persone - Repubblica.it


ARRIVEDERCI MIKE
“…ahiahiai, signora Longari…mi è caduta sull’uccello!!”
Dimenticatevi frasi del genere, come per l’11 settembre, quando dissero che il mondo non sarebbe più stato lo stesso, il mondo non sarà più lo stesso da oggi, almeno quello della televisione.
Con programmi come “Rischiatutto” o “Lascia o raddoppia” Mike, la TV, l’ha concepita, svezzata, fatta crescere come ha fatto crescere tutti gli italiani, contribuendo all’alfabetizzazione di un popolo provato da drammatiche vicende, di un inizio secolo a dir poco scoppiettante…
Per la cronaca: Michael Nicholas Salvatore, era nato a New York 85 anni anni fa, morto oggi a Montecarlo, ma soprattutto (per noi siciliani) i suoi nonni erano di Campofelice di Fitalia, in provincia di Palermo.
Signore e Signor, in ogni caso, ALLEGRIAAAA… sempre più in alto mike, sempre più in alto...
Più in alto di cosi non potevi andare caro Mike
Dimenticatevi frasi del genere, come per l’11 settembre, quando dissero che il mondo non sarebbe più stato lo stesso, il mondo non sarà più lo stesso da oggi, almeno quello della televisione.
Con programmi come “Rischiatutto” o “Lascia o raddoppia” Mike, la TV, l’ha concepita, svezzata, fatta crescere come ha fatto crescere tutti gli italiani, contribuendo all’alfabetizzazione di un popolo provato da drammatiche vicende, di un inizio secolo a dir poco scoppiettante…
Per la cronaca: Michael Nicholas Salvatore, era nato a New York 85 anni anni fa, morto oggi a Montecarlo, ma soprattutto (per noi siciliani) i suoi nonni erano di Campofelice di Fitalia, in provincia di Palermo.
Signore e Signor, in ogni caso, ALLEGRIAAAA… sempre più in alto mike, sempre più in alto...
Più in alto di cosi non potevi andare caro Mike
lunedì 7 settembre 2009
domenica 6 settembre 2009
"Il lupo perde il pelo ma non il vizio"
Storia di un messinese: Cantu pi li siciliani

Storia di un messinese: Cantu pi li siciliani: "Poesia di Alessio Patti
Siciliani pi vuàtri è stu me cantu
fattu di biddizza e di sapuri,
di libirtà e di na lacrima d’amuri,
ca comu na ciumana
scinni nni lu vostru vantu.
È forti, scarlatu comu na girasa,
spartiddèri di noti arrumatàti
di pani friscu e alivi cunzàti.
È surgiva di petra rasa,
linnu comu specchiu lucenti,
nòbili d’armu e senza scaciuni;
custumatu e rusciànu comu la nostra genti!
Non è sguaiatu ma virginatu,
è pi tutti chiddi c’hannu lu cori ardenti,
pi cu’ di la Sicilia è nnamuratu!"
Siciliani pi vuàtri è stu me cantu
fattu di biddizza e di sapuri,
di libirtà e di na lacrima d’amuri,
ca comu na ciumana
scinni nni lu vostru vantu.
È forti, scarlatu comu na girasa,
spartiddèri di noti arrumatàti
di pani friscu e alivi cunzàti.
È surgiva di petra rasa,
linnu comu specchiu lucenti,
nòbili d’armu e senza scaciuni;
custumatu e rusciànu comu la nostra genti!
Non è sguaiatu ma virginatu,
è pi tutti chiddi c’hannu lu cori ardenti,
pi cu’ di la Sicilia è nnamuratu!"
E’ morto Santi Correnti. Arrivederci Chiarissimo Professore » Osservatorio Sicilia

Bronte Insieme/Storia - I Moti del 1860, le ricostruzioni (Santi ...
Storia della città di Bronte, I fatti di Bronte del 1860, Santi Correnti, Girolamo Barletta, Paolo Macry.
Storia della città di Bronte, I fatti di Bronte del 1860, Santi Correnti, Girolamo Barletta, Paolo Macry.
sabato 5 settembre 2009
ANSA.it - Sicilia - Precari scuola, in mutande per protesta a Palermo
ANSA.it - Sicilia - Precari scuola, in mutande per protesta a Palermo: "Precari scuola, in mutande per protesta a Palermo
Da 10 giorni un presidio permanente contro i tagli
(ANSA) - PALERMO, 5 SET - Precari della scuola in piazza a Palermo 'in mutande' per attirare l'attenzione dell'opinione pubblica sulla loro situazione. La protesta del personale Ata si e' svolta davanti l'ufficio scolastico in via Praga a Palermo dove da dieci giorni e' in atto un presidio con cartelli e striscioni contro la riforma della pubblica istruzione. Chiedono il ritiro dei tagli della scuola pubblica e la loro stabilizzazione. Il coordinamento rifiuta i contratti di disponibilita'."
http://www.repubblica.it/2006/05/gallerie/scuola/precari-palermo/1.html immagini
Da 10 giorni un presidio permanente contro i tagli
(ANSA) - PALERMO, 5 SET - Precari della scuola in piazza a Palermo 'in mutande' per attirare l'attenzione dell'opinione pubblica sulla loro situazione. La protesta del personale Ata si e' svolta davanti l'ufficio scolastico in via Praga a Palermo dove da dieci giorni e' in atto un presidio con cartelli e striscioni contro la riforma della pubblica istruzione. Chiedono il ritiro dei tagli della scuola pubblica e la loro stabilizzazione. Il coordinamento rifiuta i contratti di disponibilita'."
http://www.repubblica.it/2006/05/gallerie/scuola/precari-palermo/1.html immagini
venerdì 4 settembre 2009
Ibn HAMDIS

Un poeta musulmano in Sicilia: Ibn-Hamdis http://www.youtube.com/watch?v=oWVHkSXf7kM&feature=related
La cultura musulmana si diffuse in Sicilia con la colonizzazione araba, permeando in modo fondamentale la storia e la civiltà dell'isola. In questo estratto della sua opera Storia dei musulmani in Sicilia, lo storico Michele Amari ricostruisce la vita e l'opera di Ibn-Hamdis, il maggiore poeta musulmano della Sicilia. Nato a Siracusa, accolto alla corte araba di Siviglia, cantò in 'duemila e cinquecento versi' le bellezze della sua terra natale, l'amore, le gesta guerresche 'con leggiadria ed arte e abbondanza d'estro'.
È il più illustre tra i poeti musulmani di Sicilia; e – coincidenza singolare ! – gli fu patria la stessa patria di Teocrito: Siracusa
Abd-el-Gebbâr-Ibn-Mohammed-ibn-Hamdîs nacque in Siracusa (1056) di nobile famiglia della tribù di Azd, che prendea nome da un Hamdîs, capo himiarita ribellatosi (802) in Affrica contro Ibrahim-ibn-Aghlab. Cresciuto al romor delle armi normanne che già infestavano il Val di Noto, Ibn-Hamdîs, più che agli studii si diede a combattimenti, amori, festini, trincare; finché un successo sul quale ei tocca e passa, credo avventura amorosa in nobil casato, sforzollo a fuggire in Affrica il quattrocensettantuno (1078-79). Ma sdegnando i costumi delle tribù arabiche scatenate dall’Egitto su l’Affrica propria, allettato altresì dalla fama di Mo’tamid-ibn-Abbâd, andò a corte di Siviglia, ove fu accolto con onore e liberalità. In quel ritrovo dei primi poeti contemporanei d’Occidente rifulse il genio d’Ibn- Hamdîs; non si corruppe in corte l’animo franco, liberale, pien d’amore del padre, della Sicilia, degli amici, della gloria, delle donne; d’ogni bellezza di natura e d’arte. Seguì il principe nei campi, com’uomo d’arme ch’egli era ed anco ne facea troppa mostra nei versi. Alla battaglia di Talavera (1086) abbattuto dal cavallo nei primi scontri che tornarono ad avvantaggio dei Cristiani, si sviluppò gagliardamente, n’uscì con la corazza tutta affrappata dai fendenti, più che a se stesso pensando al figlio giovinetto che combattea lì presso con gran valore. Ma quando gli Almoravidi tornarono in Spagna da nemici; quando Mo’tamid fu spoglio del regno e d’ogni cosa, e scannatigli due figliuoli sotto gli occhi, e con le figlie mandato in catene ad Aghmat (1091), Ibn-Hamdîs passava in Affrica, andava a visitarlo nella prigione: dove fecero scambio di sante lagrime e di versi mediocri. Tornatosi il poeta siciliano a Mehdia, saputa non guari dopo la morte di Mo’tamid (1095), soggiornò parecchi anni nelle due corti di casa zîrita, avendo lasciato in lungo poema la descrizione d’un palagio di Mansûr principe hammadita di Bugia, aspro nemico degli Almoravidi; due Kaside in vita ed un’elegia in morte di Iehia-ibn-Temîm (1116) principe di Mehdia; e le lodi di Ali-ibn-Iehia (1116-21) ed Hasan-ibn-Ali (1121-1148) saliti successivamente a quel trono. Scrisse la Soria di Algeziras. Rifinito dall’età e dall’avversa fortuna, ch’ei s’assomigliava ad aquila che più non voli e i figli le imbecchino il pasto, perduto il lume degli occhi, morì di ramadhan cinquecentovenzette (luglio 1133), chi dice a Majorca, chi a Bugia, sepolto accanto al poeta spagnuolo Ibn-Labbâna, col quale avea gareggiato nella grazia di Mo’tamid a Siviglia e nel carcere.
Ingegno felicissimo nel coglier e ritrarre le sensazioni, nel colorirne le dipinture che veggiamo sparse a larga mano in duemila e cinquecento versi: dipinture d’obietti materiali, avvenimenti, passioni, costumi. Delle quali lascerem da canto ciò che non si riferisca alla Sicilia: le geste di Mo’tamid, i suoi palagi ed orti o del principe di Bugia, gli episodii accademici di Siviglia, la morte d’una moglie, il naufragio d’altra sua donna nel viaggio di Spagna ed Affrica, le cacce affricane, le descrizioni d’animali e frutta e fiori, gli specchi di pece, le lampadi a spirito di vino, il piglio feroce dei masnadieri d’oltre Nilo, cui poneva a riscontro gli Arabi inciviliti di Sicilia. Quei compagni di sangue chiarissimo come lo splendor delle stelle, coi quali in gioventù solea cercare all’odorato il miglior muschio dei vigneti siracusani. Entrano di notte in un romitaggio; chiuse le porte, gittan su le bilancette un dirhem d’argento, e la vecchia suora lor ne rende una coppa piena di liquid’oro; poi ne menan via le sposine: quattro anfore vergini, impeciate e sepolte da lunghi anni; elette da un tal che d’ogni succo d’uva ti sa dir patria, età e cantina. Ma gli svelti e vaghi giovani traggono a sala illuminata da gialli doppieri messi in file come colonne che sostenessero eccelsa vôlta di tenebre; dove il signor della festa bandisce esilio e morte alla tristezza: e già le suonatrici, cominciando a toccar le corde, destan gioia negli animi; quella si stringe al petto il liuto, questa dà baci al flauto: una ballerina gitta il piè a cadenza dello scatto delle dita; gentil coppiera va in giro, mescendo rubini e perle, avara sì delle perle che rado allarga le stringhe dal collo [dell’otre di pelle di] gazzella. Oh dolci ricordi della Sicilia, campo di mie passioni giovanili, albergo ch’era di vivaci ingegni, paradiso dal quale fui scacciato! e come riterreimi dal piangerlo? Quivi risi a vent’anni spensierato; ahi che a sessanta mi rammarico di quelle colpe; ma non le biasimar tu, accigliato censore, poiché le cancellava il perdono di Dio!
Figliuoli delle Marche siam noi, cantò altrove Ibn-Hamdîs; a noi spunta il sorriso quando la guerra aggrotta le ciglia; divezziamo i bamboli, in mezzo all’armi, col latte di generose giumente: rassegnaci; e quanti siamo, tanti campioni conterai che ciascun vale una schiera. Indietreggia nostr’oste per rinnovare l’assalto; ritraendosi, sparge la morte: no, che tutte le stelle non son cadute, e pur v’ha una speme in questa guerra, e siam noi. I condottieri ci mostrano il dì della battaglia, un drappo da ricamare con gruppi d’avvoltoi; ché i prodi ad ogni carica di lor nobili [cavalli] ’Awagi, spargon sul terreno larga pastura agli uccelli voraci. Ecco una colomba messaggiera di strage, volar secura tra i lampi. Sì; percotemmo i nemici della Fede entro lor focolari: piombò un flagello su le costiere del Rûm; navi piene di lioni solcarono il mare, armate la poppa d’archi e dardi, lancianti nafta che galleggia e brucia come la pece della gehenna ov’ardono i dannati; cittadelle che vengono a combattere le città dei Barbari, a sforzarle e saccheggiarle. E che valser quei vestiti di maglie di ferro luccicanti, e usi a dar dentro quando pur si ritraggono i prodi? Non piegammo noi al duro scontro; ingozzata la coloquinta, gustammo alfine il dolce favo, e li rimandammo con le armadure squarciate e addentellate da questo sottil filo de’ nostri brandi. Perché l’acciaro nelle nostre mani ragiona, e nelle altrui si fa mutolo. Ma dalla casa mi guardano furtivamente begli occhi travagliati dalla vigilia e dal pianto, ché il dolore dì e notte li avea dipinti di kohl; una manina incantatrice muove le dita a salutarmi. Oh dilettoso giardino, la cui sembianza viene a visitar le pupille aggravate di sonno e le schiude all’immaginativa! Io sospiro la mia terra; quella nel cui seno si fan polvere le membra e le ossa de’ miei, ché già se n’è ito il fior della prima gioventù, alla quale tornan sempre le mie parole.
Sotto il bel cielo di Spagna, nelle regioni temperate dell’Affrica settentrionale, il poeta siracusano non obliò mai quel paese “cui la colomba diè in presto sua collana, e il pavone suo splendido ammanto; dove i raggi del sole avvivan le piante d’amorosa virtù ch’empie l’aere di fragranza; dove tu respiri un diletto che spegne le aspre cure, senti una gioia che cancella ogni vestigio d’avversità”. Pur l’alto sentimento che gli facea parer più belle le naturali bellezze della Sicilia, lo ritenne dal tornar a vederla serva; gli dettò versi di rampogna no, ma di compianto e di verità, ch’è primo debito di cittadino alla patria. Ripetendo ed esaltando in mille modi il valore delle persone, ricordava, sospirando, esser morta nel paese la virtù della guerra. E in età più matura sclamava:
“Oh se la mia patria fosse libera, tutta l’opera mia, tutto me le darei con immutabile
La cultura musulmana si diffuse in Sicilia con la colonizzazione araba, permeando in modo fondamentale la storia e la civiltà dell'isola. In questo estratto della sua opera Storia dei musulmani in Sicilia, lo storico Michele Amari ricostruisce la vita e l'opera di Ibn-Hamdis, il maggiore poeta musulmano della Sicilia. Nato a Siracusa, accolto alla corte araba di Siviglia, cantò in 'duemila e cinquecento versi' le bellezze della sua terra natale, l'amore, le gesta guerresche 'con leggiadria ed arte e abbondanza d'estro'.
È il più illustre tra i poeti musulmani di Sicilia; e – coincidenza singolare ! – gli fu patria la stessa patria di Teocrito: Siracusa
Abd-el-Gebbâr-Ibn-Mohammed-ibn-Hamdîs nacque in Siracusa (1056) di nobile famiglia della tribù di Azd, che prendea nome da un Hamdîs, capo himiarita ribellatosi (802) in Affrica contro Ibrahim-ibn-Aghlab. Cresciuto al romor delle armi normanne che già infestavano il Val di Noto, Ibn-Hamdîs, più che agli studii si diede a combattimenti, amori, festini, trincare; finché un successo sul quale ei tocca e passa, credo avventura amorosa in nobil casato, sforzollo a fuggire in Affrica il quattrocensettantuno (1078-79). Ma sdegnando i costumi delle tribù arabiche scatenate dall’Egitto su l’Affrica propria, allettato altresì dalla fama di Mo’tamid-ibn-Abbâd, andò a corte di Siviglia, ove fu accolto con onore e liberalità. In quel ritrovo dei primi poeti contemporanei d’Occidente rifulse il genio d’Ibn- Hamdîs; non si corruppe in corte l’animo franco, liberale, pien d’amore del padre, della Sicilia, degli amici, della gloria, delle donne; d’ogni bellezza di natura e d’arte. Seguì il principe nei campi, com’uomo d’arme ch’egli era ed anco ne facea troppa mostra nei versi. Alla battaglia di Talavera (1086) abbattuto dal cavallo nei primi scontri che tornarono ad avvantaggio dei Cristiani, si sviluppò gagliardamente, n’uscì con la corazza tutta affrappata dai fendenti, più che a se stesso pensando al figlio giovinetto che combattea lì presso con gran valore. Ma quando gli Almoravidi tornarono in Spagna da nemici; quando Mo’tamid fu spoglio del regno e d’ogni cosa, e scannatigli due figliuoli sotto gli occhi, e con le figlie mandato in catene ad Aghmat (1091), Ibn-Hamdîs passava in Affrica, andava a visitarlo nella prigione: dove fecero scambio di sante lagrime e di versi mediocri. Tornatosi il poeta siciliano a Mehdia, saputa non guari dopo la morte di Mo’tamid (1095), soggiornò parecchi anni nelle due corti di casa zîrita, avendo lasciato in lungo poema la descrizione d’un palagio di Mansûr principe hammadita di Bugia, aspro nemico degli Almoravidi; due Kaside in vita ed un’elegia in morte di Iehia-ibn-Temîm (1116) principe di Mehdia; e le lodi di Ali-ibn-Iehia (1116-21) ed Hasan-ibn-Ali (1121-1148) saliti successivamente a quel trono. Scrisse la Soria di Algeziras. Rifinito dall’età e dall’avversa fortuna, ch’ei s’assomigliava ad aquila che più non voli e i figli le imbecchino il pasto, perduto il lume degli occhi, morì di ramadhan cinquecentovenzette (luglio 1133), chi dice a Majorca, chi a Bugia, sepolto accanto al poeta spagnuolo Ibn-Labbâna, col quale avea gareggiato nella grazia di Mo’tamid a Siviglia e nel carcere.
Ingegno felicissimo nel coglier e ritrarre le sensazioni, nel colorirne le dipinture che veggiamo sparse a larga mano in duemila e cinquecento versi: dipinture d’obietti materiali, avvenimenti, passioni, costumi. Delle quali lascerem da canto ciò che non si riferisca alla Sicilia: le geste di Mo’tamid, i suoi palagi ed orti o del principe di Bugia, gli episodii accademici di Siviglia, la morte d’una moglie, il naufragio d’altra sua donna nel viaggio di Spagna ed Affrica, le cacce affricane, le descrizioni d’animali e frutta e fiori, gli specchi di pece, le lampadi a spirito di vino, il piglio feroce dei masnadieri d’oltre Nilo, cui poneva a riscontro gli Arabi inciviliti di Sicilia. Quei compagni di sangue chiarissimo come lo splendor delle stelle, coi quali in gioventù solea cercare all’odorato il miglior muschio dei vigneti siracusani. Entrano di notte in un romitaggio; chiuse le porte, gittan su le bilancette un dirhem d’argento, e la vecchia suora lor ne rende una coppa piena di liquid’oro; poi ne menan via le sposine: quattro anfore vergini, impeciate e sepolte da lunghi anni; elette da un tal che d’ogni succo d’uva ti sa dir patria, età e cantina. Ma gli svelti e vaghi giovani traggono a sala illuminata da gialli doppieri messi in file come colonne che sostenessero eccelsa vôlta di tenebre; dove il signor della festa bandisce esilio e morte alla tristezza: e già le suonatrici, cominciando a toccar le corde, destan gioia negli animi; quella si stringe al petto il liuto, questa dà baci al flauto: una ballerina gitta il piè a cadenza dello scatto delle dita; gentil coppiera va in giro, mescendo rubini e perle, avara sì delle perle che rado allarga le stringhe dal collo [dell’otre di pelle di] gazzella. Oh dolci ricordi della Sicilia, campo di mie passioni giovanili, albergo ch’era di vivaci ingegni, paradiso dal quale fui scacciato! e come riterreimi dal piangerlo? Quivi risi a vent’anni spensierato; ahi che a sessanta mi rammarico di quelle colpe; ma non le biasimar tu, accigliato censore, poiché le cancellava il perdono di Dio!
Figliuoli delle Marche siam noi, cantò altrove Ibn-Hamdîs; a noi spunta il sorriso quando la guerra aggrotta le ciglia; divezziamo i bamboli, in mezzo all’armi, col latte di generose giumente: rassegnaci; e quanti siamo, tanti campioni conterai che ciascun vale una schiera. Indietreggia nostr’oste per rinnovare l’assalto; ritraendosi, sparge la morte: no, che tutte le stelle non son cadute, e pur v’ha una speme in questa guerra, e siam noi. I condottieri ci mostrano il dì della battaglia, un drappo da ricamare con gruppi d’avvoltoi; ché i prodi ad ogni carica di lor nobili [cavalli] ’Awagi, spargon sul terreno larga pastura agli uccelli voraci. Ecco una colomba messaggiera di strage, volar secura tra i lampi. Sì; percotemmo i nemici della Fede entro lor focolari: piombò un flagello su le costiere del Rûm; navi piene di lioni solcarono il mare, armate la poppa d’archi e dardi, lancianti nafta che galleggia e brucia come la pece della gehenna ov’ardono i dannati; cittadelle che vengono a combattere le città dei Barbari, a sforzarle e saccheggiarle. E che valser quei vestiti di maglie di ferro luccicanti, e usi a dar dentro quando pur si ritraggono i prodi? Non piegammo noi al duro scontro; ingozzata la coloquinta, gustammo alfine il dolce favo, e li rimandammo con le armadure squarciate e addentellate da questo sottil filo de’ nostri brandi. Perché l’acciaro nelle nostre mani ragiona, e nelle altrui si fa mutolo. Ma dalla casa mi guardano furtivamente begli occhi travagliati dalla vigilia e dal pianto, ché il dolore dì e notte li avea dipinti di kohl; una manina incantatrice muove le dita a salutarmi. Oh dilettoso giardino, la cui sembianza viene a visitar le pupille aggravate di sonno e le schiude all’immaginativa! Io sospiro la mia terra; quella nel cui seno si fan polvere le membra e le ossa de’ miei, ché già se n’è ito il fior della prima gioventù, alla quale tornan sempre le mie parole.
Sotto il bel cielo di Spagna, nelle regioni temperate dell’Affrica settentrionale, il poeta siracusano non obliò mai quel paese “cui la colomba diè in presto sua collana, e il pavone suo splendido ammanto; dove i raggi del sole avvivan le piante d’amorosa virtù ch’empie l’aere di fragranza; dove tu respiri un diletto che spegne le aspre cure, senti una gioia che cancella ogni vestigio d’avversità”. Pur l’alto sentimento che gli facea parer più belle le naturali bellezze della Sicilia, lo ritenne dal tornar a vederla serva; gli dettò versi di rampogna no, ma di compianto e di verità, ch’è primo debito di cittadino alla patria. Ripetendo ed esaltando in mille modi il valore delle persone, ricordava, sospirando, esser morta nel paese la virtù della guerra. E in età più matura sclamava:
“Oh se la mia patria fosse libera, tutta l’opera mia, tutto me le darei con immutabile
giovedì 3 settembre 2009
martedì 1 settembre 2009
La me zita fradicia e purrita
La me zita fradicia e purrita
il testo di una notissima canzone popolare
il testo di una notissima canzone popolare
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