domenica 16 novembre 2008

marranzano o scacciapensieri

http://www.youtube.com/watch?v=hJDv36EL4JU&hl=it

L'isola ferdinandea
La Sicilia di Piri Reis
Il marranzano o scacciapensieri
La buona cucina di Archestrato
San Calogero, amatissimo Santo nero
I segni di Marta
Santa Rosalia e la devozione dei Tamil
Un viaggiatore di nome Cagliostro
Quando leggevamo “I Beati Paoli”
Il Liotru di Catania
Menù Sicilia

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Il marranzano o scacciapensieri
“il marranzano tristemente vibranella gola del carraio che risaleil colle nitido di luna, lentotra il murmure d' ulivi saraceni”
Questo è uno stralcio tratto dalla nota poesia di Salvatore Quasimodo - Strada di Agrigentum, del 1938, dove Quasimodo evoca nostalgicamente alcune immagini della sua Sicilia quasi per resistere, attraverso il ricordo, alla distanza forzata dalla sua terra. Tra le immagini cariche di forza evocativa anche quella di un uomo che suona un marranzano, lo strumento musicale tipico siciliano, che nel tempo ha accompagnato i canti popolari dei carrettieri. Conosciuto anche come Mariuolu a Palermo, marauni a Catania, ngannalarruni ad Agrigento lo scacciapensieri appartiene alla famiglia degli idiofoni a pizzico ed è costituito da una lametta metallica fissata su un telaio in ferro. Il suono, molto particolare, è generato dalla vibrazione della lametta e si può modificare con il movimento delle labbra, delle guance e della cavità orale. Presenta una notevole varietà di forme e modelli a seconda delle altre aree geografiche in cui è presente. Sì, perchè il marranzano, presente in Sicilia dall'epoca tardo medievale, in realtà è uno strumento molto più diffuso di quanto crediamo. Conosciuto in Europa già dal XIV secolo ha conosciuto una particolare diffusione in Europa centrale nel corso del 1700/1800, specie in area Tedesca. Chiamato maultrommel in Germania e italian jew's harp in Inghilterra, in realtà è anche noto in francia con il nome Guimbarde, e nei paesi baschi con quello di muxukitarra (chitarra di bocca). Con caratteristiche molto simili lo strumento è presente anche in Indonesia e in Vietnam. Le origini pare infatti ci portino tra l'Asia Orientale e Sud-Orientale, e i modelli più antichi, erano probabilmente costruiti in canna di bambù, proprio come quelli che attualmente si possono trovare in quelle aree. In Sicilia il marranzano tuttavia presenta delle caratteristiche costruttive che lo fanno distinguere da tutti gli altri modelli di scacciapeniseri. Purtroppo la musica generata dal marranzano è stata nel tempo associata alla malavita locale, - anche per l'accostamento fatto nell'ambito di alcuni film molto noti-, e questa fama ha portato a svilire il vero valore culturale dello strumento che pare ormai essere relegato alla categoria del souvenir caratteristici, complice anche la quasi totale scomparsa degli antichi artigiani che producevano strumenti di qualità.Oggi il suono dello scacciapensieri sta conoscendo momenti di rivalutazione all'interno di un contesto musicale europeo, ed è sempre più inserito in circuiti di innovazione e sperimentazione in campo jazzistico e della musica elettronica
©2008 FotoArteArchitettura.it

sabato 15 novembre 2008

Olio di SiciliaVino di SiciliaProdotti Tipici
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L'Olio Siciliano

L'OLIO D'OLIVA SICILIANO
Qualche anno fa una piccola azienda produttrice di olio d'oliva extravergine siciliana ricevendo a sorpresa la Gran Menzione al SOL di Verona per la categoria "fruttato delicato", fino a quel momento riservata per tradizione ad aziende storiche toscane e pugliesi, creava un precedente importante e segnava l'inizio di una nuova tendenza, che oggi appare sotto gli occhi di tutti: la riscoperta dell'olio d'oliva extravergine siciliano.
Nel corso di pochi anni i produttori di olio d'oliva di qualità della sicilia sud orientale si sono moltiplicati, forti della denominazione DOP e di un lavoro intenso di valorizzazione da parte dell'Assessorato agricoltura e foreste nei suoi uffici di zona.
Monti Iblei (DOP)
Reg. CE n.2325/97 (GUCE L. 322/97 del 25.11.1997)
Valli Trapanesi (DOP)
Reg. CE n.2325/97 (GUCE L. 322/97 del 25.11.1997)
Val di Mazara (DOP)
Reg. CE n. 138/01 (GUCE L. 23 del 25.01.2001)
L'OLIO SICILIANO
L'olio extravergine d'oliva è uno dei componenti essenziali della dieta mediterranea grazie al fatto che esso si ricava dal frutto e non dal seme, particolarità che gli consente di racchiudere varie ed importanti qualità organolettiche e nutrizionali.
I miti raccontano che gli ulivi crescono con il tronco doppio in quanto ciò costituisce un premio divino alla devozione di due umili sposi che lodarono l'albero quando un dio scese dall'Olimpo e li interrogò sulle loro condizioni di vita. Essi dissero: "Con l'ulivo abbiamo quanto ci serve: l'ombra per l'estate, la legna per l'inverno, i frutti per nutrirci, l'olio per condire i cibi e per fare luce". Sempre in tema mitologico si racconta che Cecrope fu il fondatore di Atene e il primo re dell'Attica. Fu sotto il suo regno che si svolse la mitica contesa tra Athena e Poseidone per il predominio sulla città. I due stabilirono che essa sarebbe toccata a chi di loro avesse fatto il dono più utile agli Ateniesi. Poseidone (dio del mare) battè il suolo con il tridente e ne balzò fuori una polla d'acqua marina, in tal modo offrì agli Ateniesi il dominio sul mare.
Athena invece colpì con la lancia la roccia e ne nacque un albero d'ulivo. Poiché fu riconosciuto pubblicamente che questo era di maggiore utilità il predominio fu affidato alla dea. Da allora sull'Acropoli venne coltivato un uliveto, nato da quel primo ulivo, che era ritenuto da tutti sacro. Solamente da quelle piante sacre si ricavavano l'olio e le fronde che venivano offerte ai vincitori dei giochi panatenaici, fatti in onore di Athena. Su precisa disposizione del re Solone nel VI sec. a.C. l'olio d'oliva fu l'unico genere alimentare esportato dai Greci. E' da ricordare infine che il talamo nuziale di Ulisse era stato ricavato da un tronco di ulivo. L'ulivo in Sicilia divenne, assieme al fico, l'immagine stessa dell'Isola. Ad esso i Greci di Sicilia tributavano grande importanza tanto che sradicare anche un solo albero comportava la pena dell'esilio! I giochi panatenaici, introdotti dagli stessi e consistenti in gare ippiche (corse di carri, corse di cavalli, acrobati che saltavano dai cavalli in corsa) e in prove ginniche (corsa, lotta, pugilato, salto, lancio del disco), si concludevano sempre con un premio ai vincitori costituito da una corona di fronde d'ulivo e da un'anfora colma di olio sacro. È il caso di ricordare la credenza che sulla tomba di Adamo, sepolto sul Monte Tabor, germogliava un ulivo il cui seme proveniva direttamente dal paradiso terrestre.
Terminato il diluvio universale, una colomba portò a Noè un ramoscello d'ulivo per indicargli che la terra era emersa dalle acque diventando così simbolo di pace, simbolo che perdura ai nostri giorni. Il crisma, l'olio che fa brillare il volto, appartiene alla cultura ebraica: con esso si ungevano i sacerdoti, i profeti e i re (ricordiamo il re Davide). Il popolo di Gerusalemme accolse Gesù Cristo agitando ramoscelli di ulivo. Prima di morire questi pregò nell'Orto degli Ulivi e ancora oggi in quella città c'è il Monte degli Ulivi. L'olio viene usato in parecchi riti religiosi, specie cristiani (battesimo, cresima, estrema unzione). Non vi è rito sacro di antica tradizione pervenuto sino al nostro tempo, che non preveda l'uso dell'olio o la presenza di fronde d'ulivo.
Il Borzì ritenne l'olivastro pianta assai comune nel paesaggio botanico preellenico. Nella Sicilia ellenica quest'albero è grandemente rappresentato. Si narra infatti che gli Agrigentini furono sconfitti in battaglia dall'esercito cartaginese e costretti a pagare un fortissimo tributo. Al comandante cartaginese, rimasto grandemente sorpreso dalla quantità di ori e di gioielli presenti nella città, mostrarono un assai piccolo ed umile seme di ulivo come origine di tante ricchezze. Il consumo di olio e di vino, quali doni di Minerva e di Bacco, distingueva i Romani dai Barbari, forti consumatori di burro e di birra. Fin dall'antichità erano note le proprietà terapeutiche dell'olivo: si ricordano i principi attivi ad azione antielmintica, emolliente e lassativa contenuti nelle foglie, nella corteccia e nella resina (utilizzata per i colliri); l'olio poi era utilizzato, da solo o associato ad altre sostanze, per preparare molti medicamenti (Plinio ne descriveva 48); veniva inoltre usato per curare le ferite, per combattere le febbri, quale antidoto per alcuni veleni, per massaggiare il corpo onde rendere i muscoli più elastici. Viceversa, l'olio vecchio veniva utilizzato per scaldare il corpo e provocarne il sudore ed anche per dissipare la letargia e le convulsioni da tetano. Nelle abbazie il monacus infìrmorum, medico e speziale, preparava una mistura a base di olio, vino e bianco d'uovo, il cosiddetto balsamo del Samaritano, che ancora oggi costituisce un valido rimedio contro le scottature e i gonfiori. All'olio vengono riconosciute proprietà nella cura delle cardiopatie. E' ipotensivo, febbrifugo, antidiabetico, emolliente e diuretico.
Viene usato per massaggiare i bambini rachitici, per cospargere le gengive colpite da piorrea, per le nevriti, per le distorsioni e per la caduta dei capelli. Anche l'uso cosmetico dell'olio è antichissimo: bacche di cipresso, grani d'incenso, latte e olio di oliva costituiscono la ricetta di un preparato per la bellezza femminile contenuta in un papiro egiziano. Con l'olio si preparavano balsami e profumi. I Romani usavano l'olio anche per conservare i denti bianchi. Lucio Giunio Moderato Columella, scrittore latino del I sec. d. C., nel suo "De re rustica" ricorda che in Sicilia era d'uso preparare una pietanza a base di pasta d'olive, "la sampsa", in pratica un pesto di olive aromatizzato e salato. Il termine "sampsa", corrotto lungo i secoli, ha finito poi per indicare i residui solidi della spremitura dell'olio, cioè la sansa.
Scrisse Plinio che "due sono i liquidi più graditi al corpo umano: all'interno il vino, all'esterno l'olio". Anticamente l'olio veniva usato per l'illuminazione (si ricorda che anche il vangelo ne parla nella parabola delle vergini). Le prime lucerne (conformate in vario modo, in genere a coppa o a scodella, e costruite in terracotta, bronzo, rame, ferro e ottone) furono diffuse dai Fenici e dai Greci in tutto il bacino del Mediterraneo; successivamente vennero anche costruite in oro o argento e adoperate per adornare cattedrali e palazzi, ma sempre alimentate con olio. Ciò fino alla scoperta del petrolio che finì per soppiantarlo del tutto. Inutile sottolineare che per alimentare le lucerne veniva usato l'olio peggiore, quello lampante.
La conservazione delle olive era un rito tutto siciliano: le olive venivano schiacciate, deamarizzate in acqua, quindi condite con olio, aceto ed origano e consumate fresche oppure venivano trattate a secco con sale o in salamoia e conservate per lunghi periodi. Le varietà di olivo ancora oggi vengono chiamate con nomi femminili alquanto vezzosi quali: nuciddara, bianculidda, passilunara, calamignara, oglialora, ecc.
LA PIANTA
L'albero dell'ulivo è citato nei testi di Omero, rappresentato nei graffiti e affreschi delle tombe in Egitto, nominato nella Bibbia e nei testi arabi. La cristianità fin dalle sue origini è ricca di riferimenti all'olivo e all'olio.
Fu pianta sacra anche per i Sicelioti, i greci di Sicilia - a cui si deve la sua diffusione nell'isola - che punivano con l'esilio chi sraricava gli ulivi. La tradizione vuole che l'ateniese Aristeo, insegnò agli antichi siciliani come strarre l'olio, inventando "u trappitu" (tradizionale oleificio a pressione), e per questo fu onorato con un tempio in suo onore a Siracusa. Ma, fu con la dominazione araba che la coltivazione dell'ulivo si diffuse maggiormente in Sicilia.
Tutt'oggi vengono adoperati nel dialetto locale alcuni termini di derivazione araba: Giarra, tipico recipiente d'argilla specifico per tenervi l'olio; Burnia, vaso di argilla cotta per riporvi le olive; Coffa, corda intrecciata atta a contenere la pasta, da porre sotto il torchio; Tumminu, misura di capacità per le olive. In epoca successiva, i monaci Benedettini e Cistercensi divulgarono tecniche agronomiche e di coltivazione razionali e favorirono la diffusione dei frantoi.
LE OLIVE
Il patrimonio varietale è costituito in gran parte dalle cultivar: Tonda Iblea o Cetrale, Moresca o Janculidda, Nocellara Etnea o Virdisi, ma si trovano anche la Biancolilla, la Zaituna etc.
Gli oliveti tradizionali sono interessati da una pratica agricola limitata; la concimazione, normalmente viene effettuata in funzione della coltura consociata, erbai, cereali e mandorli.
L'irrigazione, tranne che nei nuovi impianti, si pratica solo come intervento di soccorso. La potatura si esegue dopo la raccolta, in genere ad anni alterni, accentuando così il fenomeno dell'alternanza di produzione. La lotta antiparassitaria è poco o per nulla praticata, poiché scarsa è l'incidenza delle emergenze fitosanitarie.
La raccolta, vene fatta prevalentemente a mano e precocemente, a partire dal mese di settembre fino a gennaio, differenziata in base all'altitudine. In alcune aziende si va diffondendo la raccolta agevolata con l'ausilio di scuotitori meccanici.
OLIVICOLTURA
L'olio, nel territorio siciliano è una delle piante arboree più rappresentative, e il paesaggio agrario è caratterizzato da un'olivicoltura di tipo tradizionale e secolare, con piante che hanno più di 100 anni.
Olivi sparsi nei seminativi delle aree collinari, olivi insieme a mandorli e carrubi ed in alcune zone con la vite e gli ortaggi, mentre nelle aree agrumentate, sono posti ai margini degli agrumi. Gli oliveti specializzati ed irrigui sono di recente costituzione.
Questa singolare e tipica olivicoltura è una ricchezza per il territorio, per le molteplici funzioni cui adempie: caratterizza l'ambiente, esplica un'azione di protezione del paesaggio e soprattutto sostiene il reddito delle numerose e piccole aziende agricole.
SITI CONSIGLIATI
olio-sicilia.itle aziende produttrici di Olio in Sicilia www.olio-sicilia.it

sabato 8 novembre 2008

opinioni

Non voglio essere di parte ma mi sembra doveroso riportare un opinione per quanto tale opinabile . chi vuole può dirmi cosa ne pensa


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Lettera aperta a Berlusconi - Da lettera from Washington di Oscar Bartoli



Scritto da redazione
Sabato 08 Novembre 2008 08:20
Gentile Mr. Berlusconi, Apparteniamo di diritto alla categoria degli 'imbecilli' da Lei qualificati che si sono sorpresi per la sua ennesima gaffe madornale, questa volta riservata al Presidente eletto degli Stati Uniti. Dal canto suo Lei appartiene alla categoria degli incontinenti verbali che trova a distanza di poche ore un esimio rappresentante anche nel capogruppo al senato
della sua maggioranza, Maurizo Gasparri. Siamo altrettanto convinti che la suburra che si alimenta alle sue televisioni sara' estasiata per la 'liberta' con la quale Lei si rivolge ad altri capi di stato. Lei e' persona di grande potere economico e politico. Ma, purtroppo, non e' attrezzato con le regole fondamentali del 'bon ton', forse perche' ha vissuto ed operato troppo tempo in ambienti nei quali quello che conta e' il denaro e la capacita' di farlo pesare con ogni mezzo sugli altri. Qui a Washington, negli ultimi anni, siamo sempre stati oggetto di dileggio e battute caustiche da parte dei diplomatici degli altri paesi che commentavano con acido umorismo le sue infelici esternazioni. Essendo Lei circondato da legioni di laudatores, nessuno si azzarda a farle presente che quando un personaggio come Lei ricopre altissime reponsabilita' deve avere un costante controllo della propria immagine e si deve imporre una sorta di mordacchia per evitare che le sue dichiarazioni pssano essere considerate offensive. E nessuno Le suggerisce di cambiare una buona volta registro, proprio nel suo interesse. Questo insistere su donnine e sesso, sui comunisti sempre in agguato (ma Putin e' stato allevato dalle Figlie di Maria?), sulle barzellette da caserma sta ormai dando alla sua immagine connotazioni patetiche, aggravate oltretutto da un'eta' e danni fisici che dovrebbero suggerire altri atteggiamenti. Essendo da Lei definito 'imbecille' mi permetto invece di non seguire il suo suggerimento affettuoso (per carita') di andare fare in c... secondo quanto riportato dalla stampa nazionale. Si tratta di uno sport nel quale non possiamo cimentarci perche' non abbiamo i talenti necessari. Ma essendo Lei omnisciente potra' forse darci qualche saggia indicazione sulla base di personali esperienze. Le auguriamo tutto il bene possibile, almeno fino a che si trova nella difficile situazione di rappresentare un meraviglioso Paese chiamato Italia.
OB, Imbecille

Arabi in sicilia

















L'espansionismo normanno
Dominazioni straniere nel sud d'Italia
Gli arabi in Italia
La conquista araba della Sicilia avviene nell' 827 anche se l'isola aveva subito in tempi precedenti molte incursioni musulmane delle quali si ha notizia fin dalla metà del VII secolo. Gli Arabi del resto, erano molto vicini, in quanto installati sulla sponda africana del Mediterraneo. Ifriqiya (cioè l'Africa del Nord) ha ormai il volto musulmano, ed è governata da emiri locali in pratica autonomi come in Spagna. La Sicilia è inoltre bersaglio molto interessante, in quanto, sottraendo ai Bizantini le basi navali dislocate sulla costa meridionale dell'isola, gli Arabi avrebbero il pieno controllo sul traffico navale nel Mediterraneo centro-occidentale.Lo sbarco avviene a Mazara del Vallo, al comando della spedizione vi è Assad Ibn al-Firat che punta su Siracusa, la capitale, che però resiste. Cade Gergenti (Agrigento) e dopo un anno di lotta si arrende Palermo, che diventerà capitale. Siamo nell' 831. Successive sono la resa di Messina, Modica, Ragusa, passano dieci anni prima che si arrenda Castrogiovanni e venti prima che si arrenda Siracusa.A questo punto gli Arabi vorrebbero invadere l'Italia Continentale, ma sono divisi da essa dallo Stretto di Messina. Per questo nuovo capitolo della storia ci vengono incontro le cronache latine del IX e dell' XI secolo. Si parla di Saraceni a Brindisi, a Taranto. Soggette a scorrerie saracene furono la Sardegna e la Corsica, ma maggiormente la Calabria, la Campagna e il Molise dove gli Arabi si insediarono per qualche tempo. Si ricordano il sacco del Monastero di Montecassino e quelli delle Basiliche di San Pietro e San Paolo a Roma e ancora, nel 935, erano in Liguria a Genova. Gli Arabi risalivano anche l'Adriatico verso Ancona, spingendosi fino a Cherso. Vanno considerati durevoli i due emirati di Taranto e Bari (dall' 847 all' 871).Il primo emiro barese, Al-Khal Fun rilasciò un diploma destinato a diventare un riferimento in tutti i secoli della conquista musulmana:" Nel nome di Dio, clemente e misericordioso. Questa è sicurtà concessa dal servo di Dio, Omar, Principe dei Credenti, agli abitanti di Aclia. A tutti senza distinzioni, o malati o sani, egli garantisce la sicurtà per loro stessi, per i loro beni, per le loro chiese, per i loro crocefissi e per tutto ciò che riguarda il loro culto . . . Non saranno maltrattati per causa della loro fede, né alcuno fra essi sarà danneggiato . ".La Sicilia, dopo la conquista, gode di un periodo lungo di pace e prosperità, viene inserita in un'area ricca, il mondo islamico, culturalmente ed economicamente. Il tutto viene favorito dalla facilità delle comunicazione, la disponibilità delle risorse produttivi, tecnologiche e ideologiche e dall'uso dell'arabo come lingua franca.Religiosamente la Sicilia occidentale fu intensamente islamizzata , quasi al 50%. I Cristiani rimasti nell'Isola erano tollerati e protetti generalmente, ma nella condizione di dhimmî (comportava il pagamento di una tassa dagli aderenti ad una religione rivelata, viventi sotto la protezione dell'autorità musulmana).I Musulmani di Sicilia hanno contributo intensamente allo sviluppo delle scienze teologiche:Muhammad ben Khurâsân e Ismâ'îl ben Khalaf nella raccolta e nell'approfondimento degli ahâdîth. Assad ben al-Fûrat e Yahyâ ben Umar nello studio di diritto o figh.Abd Allâh, di origine siciliana, ha tradotto all'arabo un trattato greco di botanica di Dioscuride. Nelle scienze linguistiche ricordiamo Mûsâ ben Asbagh, Abû abd-Allâh Muhammad al-Kattâni (1035-1118) e Sa'îd ben Fat'hûn. Come poeti siculo-arabi ricordiamo Abd al-Rahmân ben Hassan, Ja'far ben yûssuf e Ibn al-Khayyât. A quel epoca era d'uso che i dotti si spostassero frequentemente nell'Umma (mondo islamico) sia per frequentare altri dotti, sia per apprendere o per insegnare. Questo rendeva abbastanza vivace la circolazione delle idee.Sono i Fatimiti di Ifriqiya che delegarono i fedeli Kalbiti a rappresentare la sovranità in Sicilia. Lo scenario è di discordie, rivolte di palazzo e delitti di Stato, incominciano a sorgere delle signorie locali e va anche fronteggiata la costante minaccia bizantina.Nonostante l'arrivo di rinforzi dal Maghreb e l'eroica resistenza capeggiata da Ibn Abbâb (Benavet) Palermo cade nel 1072. La conquista normanna guidata da Ruggero il Guiscardo fu completata dopo 30 anni di guerra e fini nel 1091 con la caduta di Noto.Finita la conquista Ruggero fece seguire una grande tolleranza per i Musulmani. Molti di loro furono arruolati come soldati in reparti speciali nel suo esercito. Nel 1111 viene incoronato Ruggero II, si faceva chiamare al-Mu'tazz bi-llâh e firmava spesso come al qiddîs (il re grande e venerabile), mantenne la Sicilia nella grande circolazione culturale e commerciale del mondo islamico. Per volere dello stesso re, il geografo Al-Sharif al-Idrissî, figura rappresentativa della comunità islamica sicula, scrisse la famosa opera Al-Kitâb al-Rujâri (il libro di Ruggero), grande opera di geografia completata nel 1154. La sua corte era affidata anche ai funzionari di lingua e competenza araba; c'erano dei fityân (paggi), hâjib (ciambellani), Janîb (aiutanti di campo), Jâmadâr (addetti agli abiti) ecc . . .La Sicilia ritorna cristiana con i Normanni, ma se furono lunghi i tempi della conquista, furono ancora più lunghi quelli della scomparsa della cultura musulmana dall'isola. Il periodo di maggior fioritura artistica e culturale della Sicilia musulmana ha coinciso con i tempi della terza dinastia Kalbita, Palermo fu capitale di arti, lettere e soprattutto poesia, questa città divenne il faro di questa civiltà che si propagò per tutta la Sicilia e giunse perfino a lambire il Mezzogiorno d'Italia. Non si contano gli influssi islamici nell'architettura, nella pittura, nella ceramica, nella decorazione per non parlare dei numerosi arabismi presenti nella nostra lingua ( libeccio, scirocco, darsena, tariffa, fondaco, gabello, elisir, sofà, zenit, ecc . . .) e nei numerosi toponimi: Alcamo, Marsala, Caltagirone, Sciacca, ecc . . .
La Cuba, un padiglione di caccia posto all'interno del parco. E' uno dei grandiosi edifici della Palermo normanna che riprendono in modo massiccio il gusto islamico per le forme architettoniche regolari.

Cattedrale di Cefalù di scuola arabo-normanna
Chiostro del Duomo di Monreale di scuola arabo- normanna
Chiostro del Duomo di Monreale. Architettura normanna con chiare influenze islamiche.
Prima pagina
aLa strada del Vino
La Sicilia offre molti itinerari da visitare, dall'archeologia alle tradizioni, dalla natura alla gastronomia, ma quello che vi proponiamo in queste pagine è un viaggio sulle strade dei migliori vini della Sicilia.


Sette itinerari alla scoperta dei vini e dei luoghi più caratteristici della Sicilia:La strada dell' Alcamo Doc,del Marsala e Moscato di Pantelleria,dell' Insolia o Ansonica,del Nero d'Avola e del Cerasuolo di Vittoria,del Moscato di Noto e del Moscato di Siracusa,del Vino dell'Etna,della Malvasia delle Lipari.

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giovedì 6 novembre 2008

da rosanerogirl

Homepage
Comunicato O.T.
di Amministrazione RNG / Rosanerogirls.it New
.... chi attacca la Scuola PUBBLICA si macchia di dissennati danni allo sviluppo del paese Un bel titolo questo sopra, ovviamente fa parte di un OT, ma credo sia importante divulgare quanto sta accadendo nelle nostre scuole pubbliche, quindi, essendomi arrivata questa e-mail proprio questa mattina, vorrei renderla pubblica, e sperare che, chi di competenza possa metterla anche nella Homepage, in quanto credo che è un fattore di interesse collettivo nazionale, che, in ogni caso, diventa interesse primario, soprattutto, dei ragazzi frequentatori delle nostre scuole pubbliche. Dilungarsi su quanto sta accadendo da parte mia diventa superfluo, in quanto è ormai da tempo che telegiornali nazionali e non, compresa la Stampa, si occupa di questo caso, quindi mi limito a postare la e-mail, cosi come mi è arrivata.Antonio M. Fiaccolata venerdì 7 novembre 2008 ore 21,00 piazza Crociper ribadire il proprio NO :1) All'art 64/l133/08 e relativo piano programmatico che prevede la riduzione delle ore di lezione e degli indirizzi negli istituti d'istruzione secondaria di secondo grado e la cancellazione di tutte le sperimentazioni2) Alla discriminazione nei confronti dei figli degli immigrati3) Al decreto 137 convertito in legge il 29/10/084) Alle classi piu numerose anche in presenza di alunni diversamente abili5) A taglio di 150000 posti di lavoro CORTEO FIACCOLATA da pzza Croci a pzza MassimoLICEO ARTISTICO E CATALANO Con preghiera di massima diffusioneGrazieGisella Duci

mercoledì 5 novembre 2008

Obama president United States of America

http://www.youtube.com/watch?v=Jll5baCAaQU&hl=it Gli stati uniti hanno dato al mondo una lezione di democrazia eleggendo per la prima volta nella loro storia un presidente di colore

lunedì 3 novembre 2008

Cuntastorie e Cantastorie


http://video.libero.it/app/play/?id=85c10eee715f380ec901d8044be29e5d









Cuntastorie e Cantastorie
di Angelo Clemente


SOMMARIO PAGINA E INDICE
Introduzione
La Poesia e la Letteratura Orale
Giullari, Menestrelli e Trovatori
Cantastorie Orbi e Cuntastorie
Puparo, Cuntastorie e Cantastorie
Cantastorie Siciliani
I più famosi Cantastorie Siciliani
Rosa Balistreri e Rosita Caliò
Turiddu Bella e Ignazio Buttitta
Congressi e Raduni dei Cantastorie
Alcuni Cartelloni storici dei Cantastorie Siciliani
Album Foto dei Cantastorie Siciliani
Come narrava una storia Cicciu Busacca Lamentu pi la morti di Turiddu Carnivali - di Ignazio Buttitta;
Lamentu pi la morti di Turiddu Carnivali come canta la storia Nonò Salamone - File Audio;


Introduzione
Tradizionale figura di intrattenitore ambulante, che si sposta di città in città e di piazza in piazza raccontando una favola, una storia, un fatto, con l’aiuto del canto e spesso di un cartellone in cui sono raffigurate le scene salienti del racconto; i cantastorie in questo loro peregrinare vivevano delle offerte degli spettatori e talvolta dai proventi della vendita di foglietti recanti la storia raccontata. Si posizionavano nelle piazze dei paesi o nelle stalle umide e cantavano o raccontavano le loro storie, antiche o attuali, vere o immaginarie, trovate in giro nei loro viaggi o composte per l’occorrenza.
Spesso i cantastorie adattavano le loro versioni ad alcuni racconti antichi, o li rinnovavano a seconda del particolare avvenimento; sovente una scelta veniva imposta per il dialetto da utilizzare in base al luogo della narrazione e a causa del diffuso analfabetismo.
Incursioni di pirati, miracoli di santi e vite esemplari di devoti, eventi catastrofici, clamorose impiccagioni, leggende sacre e racconti profani. meravigliose vittorie e lacrimevole sconfitte personaggi e momenti epici (Garibaldi ed il Risorgimento sono stati oggetto di interesse di tanti cantastorie e poeti popolari); ogni occasione era buona per i cantastorie per comporre, adattare vecchi canti o tradurre vecchie storie. una delle più conosciute è quella della Barunissa di Carini, si pensa ci siano più di 500 versioni.
I cantastorie rappresentarono l’unico tramite culturale tra il popolo analfabeta e il mondo epico e poetico in cui rivivevano le spagnolesche gesta, le bravate dei paladini del repertorio cavalleresco di Francia e le generose, anche se cruenti imprese dei vari briganti, così cari alla fantasia popolare.
Nell XVII secolo i cantastorie riuscirono ad vere un pubblico vastissimo e avidissimo; erano infatti numerosi, i sentimenti che muovevano gli spettatori ad assistere per ore ed ore alle recite.
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La Poesia e la Letteratura Orale
Questo tipo di comunicazione affonda le proprie radici nella più lontana tradizione Europea di letteratura orale, e costituì per secoli il maggiore veicolo di diffusione della letteratura dotta tramite la poesia.
L'origine della Poesia è alquanto antica. Essa nasce con lo scopo di ricordare alle genti: fatti, vicende, avvenimenti importanti, la storia di un popolo, etc., dal punto di vista dei valori, riportando il tutto a memoria visto che in quel periodo non esisteva la scrittura, cosa che avvenne più tardi.
Si pensa risalga ai popoli che abitavano il baltico e precisamente la Finlandia, (XVIII secolo a.C.) prima che questi si spostassero e si trasferissero nel mediterraneo, in Grecia, dando origine alla civiltà Egea.
Essi portarono con se miti, canzoni e racconti epici, che narravano di onore, gloria, amore, rispetto per i morti, rispetto per il padre e la madre, etc., alternando mito e leggenda; questi erano, gli Aedi o Cantori.
L'antenato più illustre fu certamente Omero [Questione Omerica] che viene descritto come il cantore cieco che si accompagnava con la lyra per raccontare le sue storie, ed Esiodo, anche se sarebbe del tutto improprio definirli dei cantori per come li intendiamo noi, ma furono coloro che iniziarono questo tipo di trattazione orale prima dell'avvento della scrittura.Dopo che la trattazione orale venne trasformata in scritti, con l'avvento della stampa, i primi a portare in giro queste narrazioni furono i Rapsodi e i Rapsodisti recitatori di rapsodie omeriche nonché cantori popolari ispirati dai grandi fatti della nazione., una sorta di cristallizzatori, cioè, coloro che imparavano a memoria questi scritti e li riportavano alla lettera, senza intaccarli.Poi fu la volta dei Menestrelli dei Giullari e dei Trovatori e infine dei Cuntastorie e dei Cantastorie, che spaziarono e a volte trasformarono le storie e gli scritti, dando vita a ballate, canzoni e racconti epici.
Dopo che la stampa ebbe il sopravvento i Cantastorie abbandonarono questo tipo di repertorio lasciandolo in eredità ai Cuntastorie ed all’Opera dei Pupi, per acquisire sempre più un ruolo che si avvicina a suo modo, al mondo giornalistico, diffondendo fatti e notizie, e stampando su Foglietti Volanti le storie che rappresentavano che, come sopra citato, vendevano al pubblico che li ascoltava.
Uno dei cantastorie più autorevoli nella storia della letteratura italiana fu Giulio Cesare Croce, autore della versione italiana delle storie di “Bertoldo e Bertoldino”.
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Giullari, Menestrelli e Trovatori
Ai cantastorie nel loro millenario cammino, dal medioevo ad oggi si sono avvicendate diverse figure di cantori, Giullari e Menestrelli, che giravano che giravano di villaggio in villaggio, di castello in castello, narrando gesta ed accadimenti,i Trovatori e Trovieri dal francese - trouvere - rimatori e poeti della lingua francese antica, autori e recitatori di una svariatissima serie di componimenti; essi si accompagnavano con strumenti dell'epoca come la Viella e il Liuto in un secondo tempo. Questi poeti cantori caratterizzarono diversi generi letterari : dalla Chanson de Geste in Francia, al Romancero in Spagna con i Cantares de Gesta, alle saghe nordiche racchiuse nel Kalevala in Finlandia, alle Byline in Russia, ai Troumbadour i Jongler e i Griot sempre in Europa che cantavano e raccontavano, elevando a mito storie tratte dal quotidiano, e i Bankelsängen (l'equivalente dei nostri cantastorie) in Germania e nei paesi nordici, ripresi poi da Bertolt Brecht nel suo Teatro Dialettico, di cui anche il grande drammaturgo faceva parte.
Figure simili le troviamo anche in altre culture nelle quali è ancora forte la componente orale della letteratura. Le novelle delle Mille e una Notte nei paesi arabi, portate in giro dai cantastorie da bazar in bazar, le storie di Ramayana e del Mahabharata in India, narrate cantate e danzate da artisti talvolta "specializzati" in un solo mito o in un solo episodio (in alcuni casi, i cantastorie indiani cantavano le storie di Rama mentre le disegnavano, considerando tale attività una forma di devozione). In Africa troviamo i Griot, che come i loro colleghi europei portavano le storie di villaggio in villaggio accompagnandosi con dei tamburi e inserendo talvolta nella loro rappresentazioni la danza. In Italia è intorno al XIV secolo che la figura del Cantastorie, insieme a quella dei Cuntastorie (chiamati Storystellers nei paesi anglosassoni), assume caratteristiche proprie, diversificandosi dalla "letteratura dotta"; infatti, grazie all’influenza della letteratura epica francese, presto ramificatasi in tutta la penisola (particolarmente al Sud), le gesta dei leggendari eroi del ciclo de la chanson de geste diventano fonte di ispirazione, e i nomi di Carlo Magno, Orlando, Angelica, Rinaldo etc.., entrano a far parte del mondo popolare.Tra i più moderni e famosi e d’obbligo citare i trovatori provenzali, i giullari di scuola siciliana come Cielo D’Alcamo e Jacopo da Lentini (da molti ritenuto l'inventore del "sonetto", Dante Alighieri gli attribuì il titolo di Caposcuola della lirica siciliana, poiché nei sui componimenti erano presenti tutti gli stili letterari fini ad allora usati: il sonetto, la canzone e la canzonetta), per arrivare all’epica colta di Andrea Barberino, Ludovico Ariosto e TorquatoTasso, a quella popolaresca dei romanzi d’appendice dei Rinaldi Napoletani, ai cuntastorie Palermitani dei quali Mimmo Cuticchio è oggi l’ultimo rappresentante.
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Cantastorie Orbi e Cuntastorie
Palermo è stata la culla di un’ altra figura tradizionale oggi completamente scomparsa il Cantastorie Orbu, nata intorno alla metà del 1500, anno in cui la Chiesa e precisamente i Gesuiti si interessarono a loro notando che la loro comunicativa molto vicina alla gente poteva servire come mezzo per diffondere storie sacre e liturgie e avvicinare così il popolo a Dio.
Da questo momento in poi, i Cantastorie Orbi e i Cuntastorie forti della protezione della Chiesa iniziarono a proliferare portando tra il popolo nuvene, trionfi e cunti, operando in nome di una verità religiosa nella quale i Santi e le Sacre scritture erano raccontati.
Uno dei più autorevoli palermitani oggi scomparso (fortunatamente si è potuto fare una ultima registrazione dal vivo) è stato Giordano Fortunato (nella foto) uno dei migliori interpreti di “U triunfu di Santa Rosalia” del quale esiste anche una versione su C.D.
Queste storie raccontate dai Cantastorie Orbi e Cuntastorie costituisce un sapere mitico dove a trionfare erano sempre il bene, i valori cavallereschi dei paladini, della giustizia, della croce e della spada.Ed è forse proprio questo rigido legame ai temi, ai simboli e agli stili del passato (ci fa sapere Mauro Geraci, docente di Etnologia alla Sapienza di
Roma) che non ha permesso a Orbi e Cuntastorie di esplorare nuovi spazi poetici, musicali e comunicativi, come quelli che invece i cantastorie mostrano di sperimentare quotidianamente ancora oggi.
I cuntastorie non utilizzavano alcuno strumento musicale ma modulavano la voce con una tecnica tutta particolare, che veniva tramandata di generazione in generazione, un racconto orale con regole precise di tempo, ritmo ed esposizione.
Questi “menestrelli cuntisti” giravano le città in lungo e in largo spostandosi come potevano e usando qualsiasi mezzo di locomozione; non importava se erano analfabeti o ignoranti, la loro capacità era quella di apprendere e comunicare al popolo.
Ci fa sapere Consolo (apprezzato scrittore siciliano), che il cunto si è salvato per il suo ruolo sociale di memoria, per l’antica funzione epica della parola, è la capacità di rendere con la voce e teatralizzare una della componenti della parola, contraddistinguendosi da tutto il resto.
Nel racconto Epico, più che in qualsiasi altro testo, questa attitudine riesce ad esprimersi al meglio. Infatti, narrare del ciclo troiano, del ciclo greco, di Carlo Magno e i suoi paladini, significa trattare delle eterne lotte tra il bene ed il male, tra la vita e la morte; tanto è vero che poi il teatro dei pupi siciliani nella seconda metà dell’Ottocento, volendo mantenere la valenza epica si è specializzato in questa direzione, ereditando tutto il patrimonio dei cuntastorie e non dei cantastorie, infatti sia il cuntastorie che il teatro dei pupi trattavano in effetti lo stesso repertorio classico, anche se naturalmente, quest’ultimo è subentrato in un secondo tempo.
Qualche volta il cuntastorie era una sorta di puparo mancato, a cui solo le limitate possibilità finanziarie impedivano di allestire il teatro dei pupi. Si trattava quasi sempre di povera gente, che viveva alla giornata, e che non poteva permettersi assolutamente di acquistare tutti gli attrezzi del mestiere per diventare puparo, così si affidava all’arte della parola, imparava tutte le regole della narrazione e negli anni diventava cuntista. Torna all'indice
Puparo, Cuntastorie e CantastorieA questo punto occorre chiarire e fare un distinguo tra: Puparo, Cuntastorie e Cantastorie.
Mentre i primi due trattavano lo stesso repertorio epico e cavalleresco, il Cantastorie si basava su fatti di cronaca e di attualità, adoperando la maestria dei cuntastorie e una mimica particolare usata soprattutto nelle parti tragiche, gridando, lamentandosi e delle volte anche piangendo. La sua prosa e un canto in versi accompagnato dal suono di uno strumento musicale per lo più una chitarra o una fisarmonica.
Esso in qualche modo aveva la funzione di far conoscere storie e fatti come uno speaker televisivo ma con una valenza teatrale e spettacolare, anche se (come accennato precedentemente), le storie talvolta venivano travisate e manipolate per adattarle allo scopo.
La forza dei cantastorie si basava soprattutto nel fascino del dramma nella narrazione di una storia, ed è solo in questo modo (afferma Bungaretta, studioso di tradizioni popolari) che il cantastorie potrebbe sopravvivere ai giorni nostri, raccontare un episodio, un fatto che sia carico di simbologia, perché prende valenza diversa da altri eventi, e diventa suscettibile di drammatizzazione e quindi di interesse per il pubblico.
E’ questo il caso ad esempio dell’uccisione di Falcone e Borsellino, due personaggi simbolici, carichi di eroicizzazione da parte del pubblico, due paladini che combattevano quel mostro che è la mafia; Ecco, in questo caso è possibile per il cantastorie raccontare ancora ed affascinare il pubblico, nonostante ne siano ormai note le immagini fin nei minimi particolari. Torna all'indice

Cantastorie SicilianiI cantastorie siciliani in egual modo come i loro colleghi, giravano la Sicilia in lungo e in largo, li si notava soprattutto nelle grandi festività, nelle fiere, nei momenti di raccolta del grano o in altre occasioni come queste, quando la gente era più disponibile e poteva contribuire economicamente alla loro sussistenza. Intorno alla fine dell'ottocento non vi era angolo della Sicilia che questi non avesse raggiunto.
Esiste una particolarità siciliana nel quadro nazionale, si tratta di una specifica tradizione etno-musicale per la presenza di alcuni grossi caposcuola, che si sono posti come modelli di riferimento, creando delle forme emulative, in un certo senso quello del cantastorie siciliano è un istituto culturale, una maniera di cantare più meridionale che appartiene alla tradizione melodica, che spesse volte prende anche a prestito altre forme culturali, creando dei ricambi che sono fondamentali nella tradizione orale.
I potenti, l’amore, storie di omicidi passionali, avventure di eroi, erano i loro temi favoriti, e loro, specchio fedele di umori e gusti del pubblico, ben sapevano interpretare quell’immaginario difficile da acquisire altrimenti, dato che ancora pochi sapevano leggere e scrivere; anch’essi vivevano delle offerte degli spettatori o dalla vendita di foglietti con la storia raccontata. Si racconta che uno di questi cantastorie Cicciu Busacca, fermava la recita sul più bello, fin quando non erano stati venduti tutti e la gente li acquistava e li faceva acquistare agli amici, pur di conoscere il finale di quella storia.
I cantastorie siciliani tramandano la vecchia cultura Siciliana che vede nel bandito l’eroe popolare, nel delitto d’onore un gesto eroico, nel traditore ed infame l’essere reietto da odiare, una vecchia cultura popolare fortunatamente scomparsa con il cambiamento e la crescita culturale della società, ma che in egual modo ha portato via quell’aspetto "poetico-passionale" proprio della Sicilianità. Alcune di queste storie erano delle vere e proprie telenovelas diremmo oggi, poiché i cantastorie con la loro maestria spezzettando, aggiungendo nuove parti o manipolando addirittura fatti della storia per allungarla, creavano delle vere e proprie puntate, dando appuntamento ad altri giorni alla gente che li ascoltava, che puntualmente al loro ritorno era li presente che li aspettava.
In un secondo tempo con l’avvento della discografia, i foglietti vennero sostituiti da dischi e musicassette (alla fine degli anni 60) e spesso e volentieri i cantastorie non cantavano più con la loro voce in diretta ma si esibivano in playback adoperando la mimica e la gestazione nella rappresentazione che forse è stata la causa del disinnamoramento e della delusione della gente, poiché veniva a mancare, la forza, la “verve” la comunicazione, la componente teatrale.
I primi dischi che si incisero furono i 78 giri, poi si passò ai 45, seguirono le musicassette e oggi i C.D., che alcuni cantastorie come il Barcellonese Fortunato Sidoti ha inciso di recente.
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I più famosi Cantastorie Siciliani
I cantastorie più famosi Siciliani in ordine cronologico furono: Gaetano Grasso di Paternò (CT), Paolo Garofalo, di S.Cataldo (CL) e Orazio Strano di Riposto (CT) pionieri e caposcuola dei cantastorie.La prima storia che scrisse e che rappresentò Paolo Garofalo fu “U surdatu e la fantasma” scritta da Pietro Parisi in collaborazione con Gaetano Grasso con il quale aveva iniziato a girare le piazze, ma mettendosi non molto tempo dopo in proprio.Abbiamo delle notizie vaghe che ci informano che Garofalo rappresentava questa sua storia senza il cartellone.
Orazio Strano (19/09/1904 - 16/12/1981) di Riposto (CT), caposcuola e autorità indiscussa, uno dei più grandi cantastorie siciliani, era paralitico ma questa sua condizione non gli impediva di spostarsi di città in città; si esibiva seduto sul carrozzino accompagnandosi con la sua inseparabile chitarra e alle volte con un mandolino. La sua carriera inizia nel secondo dopoguerra, narrando e cantando vicende e fatti realmente avvenuti di gente umile costretta a sopportare gli avvenimenti ed il fato avverso, compose la prima versione di “la storia di Salvatore Giuliano”. Ha scritto anche molte canzoni e filastrocche ed ha collaborato con Rosità Caliò, una delle poche cantastorie siciliane al femminile.
Seguirono: Enrico Belladonna di Catania, Luciano Palmeri di Paternò (CT) e dopo circa 4 anni si affermarono: Ciccio Busacca, di Paternò (CT), Paparo Francesco detto Rinzinu, di Paternò (CT), e Vito Santangelo di Paternò (CT) che iniziò la sua attività facendo da spalla a Garofalo, come ci fa sapere lui stesso in una sua raccolta autobiografica di prossima uscita “La mia vita di cantastorie”, che sarà edita dalla nostra Associazione.La prima storia che scrisse Vito Santangelo fu “la madre assassina” del 1958 e il cartellone fu disegnato e realizzato da Salvatore Silipoti cognato di Vito che si dilettava a dipingere; queste furono le prime storie in assoluto ad essere registrate su disco e vendute.
Ancor ora sulla breccia e sempre disponibile Vito Santangelo è ormai diventato un mito, collabora con noi da più di tre anni; (l’8 Luglio 1999 dopo essere stati contattati dalla Televisione Nazionale Giapponese N.H.K. che stava girando un documentario sulle tradizioni popolari nel mondo, e che avevano notato la nostra Associazione su Internet, abbiamo realizzato a Paternò un filmato che vedeva il cantastorie Vito Santangelo esibirsi nella piazza del paese).
In un secondo tempo o di II° generazione sono: Franco Trincale di Militello Val di Catania che ancora si esibisce a Milano; Peppino Castro di Dattilo (TP), che a Torino dove lavorava ha fondato una associazione per la conservazione delle tradizioni popolari siciliane per gli emigrati in Piemonte, oggi ritornato nel suo paese si esibisce ancora con il suo repertorio classico; Saru Cavagna di Niscemi (CL) che gira ancora i paesi siciliani in occasione di Fiere o feste Patronali, con i suoi cartelloni e con l’aiuto del fratello.
Nonò Salamone di Sutera (CL), uno dei cantastorie e cantori più rappresentativi, che ha divulgato e fatto conoscere a Torino dove lavora, come in tutto il resto d'Italia ed all'estero, la figura del cantastorie, i canti, le tradizioni, i drammi, le passioni e le bellezze della nostra terra. Ha collaborato con i più grandi, come Cicciu Busacca, Rosa Balistreri (con la quale ha fatto diverse tournèe) e Ignazio Buttitta per il quale ha scritto le musiche di diverse sue composizioni, in particolare due, a lui molto care “U lamentu pi la morti di Salvatore Carnevale”e “Lu Trenu di lu Suli ” cantate poi da tutti i cantastorie.
Fortunato Sindoni di Barcellona (ME), inizia la sua “carriera” di cantastorie negli anni 70 quando emigrante in Germania scopre i testi, le musiche e la vita di Woody Guthrie, folk singer Americano, che con la musica e le sue ballate, cantate per lo più nelle fabbriche e nelle campagne, fece emergere la condizione politico sociale degli operai di quell’epoca, creando una vera e propria presa di coscienza di classe e rivendicando i diritti dei lavoratori. Laureato in Lingue e Letteratura Straniera comincia a frequentare il meglio della cultura popolare siciliana conoscendo i più grandi Cantastorie siciliani e non. Collabora con Ignazio Buttitta e Turiddu Bella musicando e cantando le loro poesie e le loro storie, percorrendo con loro l’Italia e compiendo anche tournée all’estero. Ha scritto una lunga e toccante storia sulla vita di Rosa Balistreri, (il cartellone fu realizzato dal Pittore Paolo De Pasquale).Ad esso, si deve anche una innovazione, il fatto di aver usato al posto del tradizionale cartellone per la narrazione delle storie, un proiettore di diapositive, con il risultato che i quadri si possono vedere da lontano, e le pitture risultano molto realistiche e avvolgenti.
Antonio Tarantino di Palermo operante nel campo della musica popolare siciliana, finalizzata alla ricerca ed alla riproposta di canti trascritti tra la fine del '700 e i primi del '900, curando una “Raccolta di Canti Popolari Siciliani”; esibendosi proprio come facevano i cantastorie di un tempo.
La prima Casa Discografica a registrare e stampare i primi dischi dei cantastorie siciliani, fu la Universal di Napoli di proprietà di Esposito nel 1962/63, “U surdatu e la fantasma” di Paolo Garofalo e “la madre assassina” di Vito Santangelo. Una delle storie che ebbe più successo e che fece molto discutere fu "La Storia di Salvatore Giuliano", della quale esistono diverse versioni. Torna all'indice
Rosa Balistreri e Rosita Caliò Due le donne nel panorama artistico siciliano, Rosa Balistreri e Rosina Caliò.
Rosa Balistreri di Licata (AG), cantautrice, cantastorie e tanto altro, un mito per la gente di Sicilia, di cui era espressione viva, con quella sua voce possente, rauca, triste e dolce che raccontava e denunziava in maniera molto vigorosa, la fame, l’ingiustizia, la libertà, la rabbia, l’amore e quelle dolcissime e bellissime nenie che solo Lei sapeva interpretare così magistralmente.
Cresciuta artisticamente al nord e precisamente a Firenze dove si era recata per lavoro, e, dove incontrò molti dei grandi personaggi del panorama artistico e culturale italiano, come Dario Fò, Renato Guttuso,
Leonardo Sciascia etc; ma, ciò che la incoronò quella unica e grande artista che era, fu l'incontro, che poi sfociò in una grande amicizia, con Ignazio Buttitta che dopo averla sentita cantare la spinse a imparare a suonare la chitarra, scrivendo per lei alcune delle sue più belle poesie.
Ascolta due dei suoi brani
Olì olì olà
Li pirati a Palermu
(Un gruppo musicale siciliano gli ” Zabara” che collabora da alcuni anni con la nostra Associazione e che ha contribuito alla stesura della rassegna “Cunti Pupi e Canti” riesce, attraverso la voce struggente di Erminia Terranova e quella rugginosa e vibrante di Tano Avanzato a restituire la freschezza di canti come “Ii pirati di Palermo”, “Lu verbu”, “Sant’Agata” etc, e nel loro recital, fra un canto e l’altro il pensiero và inevitabilmente, a quell’impareggiabile e ultima cantatrice di Sicilia: Rosa).

Rosita Caliò di Catania conosciuta e apprezzata cantastorie cresciuta alla scuola del grande Orazio Strano con il quale collabora e incide per lui numerosi dischi (una nota di cronaca ci fa sapere che Strano la pagava con dei quadri che poi lei rivendeva). Oggi si esibisce in un repertorio tutto suo, influenzato moltissimo da Strano, raccontando storie di cronaca. Torna all'indice
Turiddu Bella e Ignazio Buttitta
La prima versione "La storia del bandito Giuliano" fu scritta dal poeta dialettale Turiddu Bella (nella foto), e il primo cantastorie a portarla in giro fu Orazio Strano, che decise di cantarla a Montelepre quando ancora Salvatore Giuliano era ancora in vita.
Una nota di cronaca ci informa che lo stesso Strano mandò il cantastorie Giacomo Saso di Trabia (PA) a parlare al padre di Giuliano affinché gli concedesse il permesso di cantarla,la cosa lo entusiasmò molto tanto che gli permise di cantarla nella strada sottostante la sua abitazione.

Dopo qualche anno arriva la versione di Ignazio Buttitta (nella foto) “La vera storia di Turiddu Giulianu" pubblicata da Sellerio, cantata e incisa su vinile da Vito Santangelo, (che in un primo momento, divulgò una sua versione, rimaneggiando e personalizzando quella di Bella), si impose per la lirica e la poesia inimitabile del grande poeta siciliano; fu la volta poi di un'altra versione scritta e cantata da Cicciu Rinzinu.
“La vera storia di Turiddu Giuliano” di Buttitta è stata incisa da Vito Santangelo per la casa discografica SAAR di Milano nel 1966-67 (cinque dischi con due episodi ciascuno), ed è stata ristampata in un secondo momento dalla casa discografica Jolly. E' importante sottolineare la divergenza letteraria e storica tra i due poeti vernacolari,
Ignazio Buttitta e Turiddu Bella che contribuirono ad elevare e ad accrescere culturalmente la figura del cantastorie.Essi proponevano due diversi modelli di poesia popolare.Bella gode di una facilità di inventiva che ne fa un geniale poeta estemporaneo e spesso i personaggi delle sue storie diventano dei Robin Hood, dei salvatori, dei giustizieri buoni (come nel caso di Giuliano).
Buttitta nelle sue opere, più severe e ragionate, miste a una lirica armoniosa altamente poetica compie una denuncia impegnata e civile mettendo a fuoco le problematiche che affliggono il popolo siciliano, la sua poesia vuole compiere un cammino di sensibilizzazione delle coscienze popolari.
Questa loro contrapposizione divise i cantastorie in due schieramenti che divennero ben presto due scuole. Torna all'indice

Congressi e Raduni dei CantastorieIl Primo Congresso Nazionale dei Cantastorie si svolge a Bologna nel 1954 nel cortile interno della Trattoria Profeti.Nel 1957 a Gonzaga (una cittadina in provincia di Mantova), venne realizzato il primo concorso nazionale dei cantastorie il “Premio Trovatore d’Italia” che consisteva nella consegna di una torre d’oro al primo classificato, che poi (dopo due anni) cambiò con la classica coppa le medaglie e i diplomi.
Questo primo concorso fù vinto da Ciccio Busacca, con ” la storia di Salvatore Giulianu”, mentre l’anno successivo l'ambito premio fù vinto da Vito Santangelo con "la Matri assassina" (scritta da lui stesso), che si riconfermò vincitore anche nel 1964 con la “la Disfida di Roma” dove recitò insieme a Ignazio Buttitta (In questa occasione fu realizzato un documentario da Ugo Gregoretti che fu divulgato attraverso la televisione dell’epoca), altre due edizioni furono vinte da Franco Trincale e da Ciccio Busacca.
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Alcuni Cartelloni storici dei Cantastorie Siciliani





I Pittori dei CartelloniI più importanti pittori che hanno realizzato molti dei cartelloni dei cantastorie, che si differiscono tra loro per le dimensioni e la tecnica pittorica, sono stati: Vincenzo Astuto e Francesco Esposito di Messina, e Vincenzo Signorelli di Catania. Torna all'indice
(Alcuni di questi cartelloni vengono esposti nella mostra che noi presentiamo)-----------------------------------------
Cronologia e Storia
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Sezioni:
Tradizioni
Carretto Siciliano
Opera dei pupi
Barche di Sicilia
L'arte della ceramica

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OPERA DEI PUPI
L'Opera dei Pupi vede in scena i Pupi Siciliani, marionette che rappresentano i protagonisti dell'epopea medievale filtrata da racconti leggendari…Il repertorio è quello cavalleresco ed ha per sfondo il mondo eroico dei Paladini di Francia; trovano spazio storie anche romantiche come quella di Ruggero e Bradamante, ma anche in questi casi lo spettatore è testimone di uno scontro, quello tra il bene ed il male rappresentato dalla lotta tra i Paladini ed i feroci Saladini…il contesto si allarga a significati ben più ampi e l'Opera dei Pupi diviene pretesto per la espressione della logica popolare di cui la rappresentazione è pervasa. Tutto è simbolo, allegoria, magia. Le marionette appartengono ad una tradizione antica della storia siciliana. Già Senofonte, in un passo del Simposio faceva riferimento ad un marionettista siciliano. Ma l'arte antica di spettacolarizzare con le Marionette era diffusa un pò dovunque. Alla corte di Carlo V di Spagna, ad esempio, si svolgevano regolarmente alcuni spettacoli cavallereschi rappresentati con figure di legno. Sappiamo che alle soglie del XIX secolo, la Sicilia è ancora oggetto di alcuni attacchi barbareschi. Questo favorì il permanere nell'isola di una memoria positiva nei confronti dei Normanni che avevano scacciato dall'isola i dominatori musulmani. L'espressione “mamma li turchi!”, è emblematica di quanto ancora vivo fosse nell'immaginario collettivo il terrore degli scontri avvenuti. I “cantastorie”, con l'arte della parola, tramandarono in ambito popolare i vari repertori epici. Di quanto un “cuntu” (così era denominato lo spettacolo fornito dai cantastorie), potesse suscitare coinvolgimento parla un racconto di V. Linares del 1840 dal titolo: “Il Cantastorie”, pubblicato tra i Racconti popolari a Palermo e che descriveva il cuntu di tale “mastro Pasquale”. La diffusione del cuntu, che dunque in Sicilia aveva avuto il ruolo di tramandare un intero patrimonio appartenente al repertorio epico-cavalleresco medievale e rinascimentale di matrice carolingia, può essere considerato centrale per la nascita dell'opera dei Pupi. Il “Teatro dei pupi” con le caratteristiche con cui oggi lo conosciamo, si difuse intorno alla II metà del 1800. In esso si concentravano varie tradizioni radicate nel popolo siciliano, che divenivano poesia quando si realizzava quel magico incontro tra il genio poetico di chi scriveva le storie e gli artisti capaci di tradurlo scena con quella particolare gestualità, che traeva ispirazione dai movimenti ritmati e ripetuti delle danze di antichi riti contadini, adoperate per propiziare la fertilità della terra. La tradizione dell'opera dei Pupi, non fu immune dal pericolo di essere interrotta. Accadde infatti che nella seconda metà dell'Ottocento, il teatro dei pupi siciliani venne accusato di essere capace di istigare violenza nel popolo siciliano. Per difendere la tradizione dell'”opra” intervenne il Pitrè, al quale molto si deve anche per gli studi condotti in materia. Il saggio di Pitrè sulle tradizioni cavalleresche in Sicilia, edito nel 14° volume della sua "Biblioteca: usi e costumi del popolo siciliano" riporta che le vicende di: "Storia dei paladini di Francia cominciando da Milone Conte D'Anglante sino alla morte di Rinaldo" sono da considerare come la fonte principale cui si avvalsero i pupari nella seconda metà dell'800, per formulare il repertorio delle loro rappresentazioni. Sempre il Pitrè affermava "questo teatro ha una ragione storica nello spirito del popolo meridionale d'Italia, ed è mantenuto vivo da ragioni psicologiche ed etniche ad un tempo, ed in tutto relative all'indole della gente nostra". Le ricerche svolte dal Pitrè prima, e i recenti contributi forniti da E. Li Gotti, S. Lo Nigro, A. e F. Pasqualino, per citarne alcuni, danno oggi un inquadramento completo della evoluzione di questa particolarissima forma d'arte, suscettibile di variazioni ed innovazioni, al cui centro si pone il sempre, tuttavia, il racconto orale. Una curiosità: come i carretti siciliani differiscono tra loro per alcuni particolari costruttivi relativamente alla zona della Sicilia cui appartengono, anche i pupi hanno le loro originalità. Infatti, quelli originari di Palermo hanno gli arti inferiori snodabili, quelli dell'area catanese hanno le gambe rigide. Anche oggi, nell'ambito di manifestazioni o in alcuni periodi dell'anno è possibile assistere alla magia di questa rappresentazione… Si apre il sipario, nel palco la luce colpisce le corazze scintillanti dei Pupi…intorno è buio, la morbida cascata di piume sopra l'elmo esalta il movimento del pupo quando, mosso dal "puparo", prende vita…Poi, il rumore delle spade, la voce del puparo e la finzione si dissolve nella realtà della scena; la tradizione si rinnova negli occhi incantati di un bambino.

sabato 1 novembre 2008

santi e fanti

Ugo La Malfa http://video.google.it/videoplay?docid=-vvvara5702792693292864086&ei=DqtGSc2KIILi2gLvxYj4Ag&q=vara+messina&hl=it
Franco e Ciccio
http://video.google.it/videoplay?docid=-6286773942857149013&hl=it s.agata
Pietro Anastasi
Luigi Pirandello
(Agrigento 1867 – Roma 1936)

La vita
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Beppe Furino



Toto Scillaci
















Giovanni Verga


La vita
La poetica
Il Verismo
La concezione della vita
Le opere principali
Mastro-don Gesualdo
I Malavoglia
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Realizzato da Adriano Salvatore


Giuseppe Tomasi di Lampedusa
(Palermo 1896 – Roma 1957)

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Sperandeo















Franco Franchi













S Agata patrona Catania








s.Rosalia patrona di palermo














Salvatore Giuliano (turiddu)
nato a Montelepre bandito per un sacco di grano colonnello evis dopo essere stato ucciso da Gaspare Pisciotta le suo spoglie vennere crivellato di colpi da parte dei carabinieri











Giuseppe Balsamo alias conte di cagliostro
avventuriero mago ciarlatano fate voi famosa la truffa della collana della regina di Francia che sembra essere la causa scatenante della rivoluzione francese secondo alcune tradizioni il suo scopo era esattamente la caduta della monarchia il suo motto era pedibus e destrue lilius i gigli erano il simbolo del re di Francia

















don luigi sturzo fondatore dc


Bettino Craxi


















Archimede di Siracusa si ricorda di lui gli specchi che incendindiarono la flotta che assediava la sua citta












e il suo eureka dopo aver intuito il principio che porta il suo nome


















Antonio Canepa alias mario turri












comandante evis morto a seguito di un imboscata delle forze dell ordine italiane sembra che quando fu seppellito fosse ancora vivo, soleva dire che se i latifondisti non avrebbero dato le terre ai contadini avrebbe preso le loro teste


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